venerdì 11 dicembre 2009

DEJA VU di Aldo Ardetti



Le donne si erano dimostrate più scaltre nel gioco delle carte. Agli uomini veniva meno la necessaria concentrazione per le notizie diffuse in quei giorni: l’intensificarsi della guerra con i tedeschi in ritirata.
Le donne affrontavano l’argomento con spirito differente.
Era stato un giorno con un tiepido sole ma a sera si gelava.
Quando la trattoria del quartiere si svuotava dei pochi avventori ai quali era stato servito quello che il mercato offriva, Rossana si concedeva un giro di carte con gli amici.
Attilio aveva notato che Francesco, il compagno di gioco, spesso si distraeva ma non aveva voluto colpevolizzarlo: non c’era posta in palio, diceva. Francesco rifletteva sul destino che spesso si diverte a prenderci per mano, a condurci in luoghi già visti in circostanze diverse. L'ispirazione di quel déjà vu era stata la giovane Anna – dipendente e compagna di gioco di Rossana – che le aveva ricordato, per la sua bellezza, un amore giovanile.
Quando era studente e di salute cagionevole, i genitori benestanti e con numerosa figliolanza, dopo ripetuti consulti medici, decisero di far fare al loro figliuolo un po' di mare perché in paese, quando si trattava di salute, si pensava a località marine e quelle del litorale, pur avendo convissuto con la palude, ora assicuravano aria e acque salubri. Il giovanotto partì ben bardato ma con qualche timore per l'ignoto dovuto alla giovane età. Era la prima volta che affrontava una scampagnata in solitaria anche se non si trattava di un viaggio lungo e difficoltoso. Le notizie di una eventuale guerra intimoriva e parenti avevano già imbracciato le armi in terre lontane. I genitori lo videro partire entrambi impensieriti pur avendolo raccomandato a famiglie amiche. Ma l’apprensione era difficile da contenere.

Durante il viaggio il giovane Francesco pensò di fare una sosta in quello che sembrava uno sperduto borgo dove i pochi abitanti, per la maggior parte, erano di origine veneta e romagnola. Era stanco e un leggero mal d'ossa gli indolenziva tutto il corpo per il viaggio fatto su una corriera malandata.
Calmò l’arsura con una bevanda fresca chiesta ad un chiosco a conduzione familiare, improvvisato davanti a un podere che vendeva i prodotti dei campi che si riusciva a coltivare. Una anziana donna si guardava intorno poi, rivolgendosi verso la casa, reclamò qualcosa a gran voce. Sull’uscio apparve una giovane. Francesco ne rimase incantato, ai suoi occhi apparve bellissima e seppe poi chiamarsi Adele. Gli sguardi si incrociarono per un timido saluto di benvenuto. Francesco non seppe dare un'età a quella ragazza dai capelli corvini con occhi neri e profondi. Meno di vent'anni, pensò. Decise allora di chiedere alloggio che gli fu concesso nell’unico posto disponibile, nella casona, una baracca costruita dietro la casa. Un battente assicurava luce e aria mentre in un angolo, tutto scurito dal fumo, un cestino di logoro vimine conteneva mozziconi di candela per l'uso casuale che ne era stato fatto; per letto un materasso deformato poggiato su di una pedana e alcune assi di legno poste orizzontalmente imitavano uno scaffale. Anche l'odore non era dei migliori in quella specie di magazzino disordinato. Il ragazzo si accontentò pensando alla ragazza che possedeva un fascino carnale, ancora acerbo. Speriamo di non fare troppa confidenza con le pulci pensò, mentre non riusciva a governare la ridda delle sensazioni.
Durante la frugale cena, aveva ricambiato continue e prolungate occhiate. Le cose più belle sono quelle che non si dicono, aveva pensato. I due giovani si piacquero e si desiderarono da subito. Tutto quello che sarebbe accaduto sembrava già essere scritto.
Quando fu notte fonda la ragazza aspettò il momento del primo sonno per sgattaiolare fuori. Bussò alla porta del capanno chiusa dall’interno con un rudimentale chiavistello anch’esso di legno.
Fu in quel capanno di campagna che Francesco l'amò baciando le labbra morbide e carnose. Ho sedici anni e sono vergine, gli aveva sussurrato quando capì che i loro corpi si sarebbero avvicinati per congiungersi. Egli la prese con tutto l'amore che l’inesperienza suggeriva; si unirono con tutto l'ardore giovanile che seppero offrirsi e si amarono con quel trasporto totale capace di annullare qualsiasi responsabilità.
Alle prime luci dell'alba Adele fece il percorso a ritroso. Ritrovò il suo letto con le coltri gonfiate ad arte. Se qualcuno si fosse svegliato all'improvviso avrebbe potuto pensare alla giovane di ritorno dal cesso situato all'esterno.
L’indomani Francesco invitò Adele a fare una gita al mare. I preparativi non richiesero tempo e impegno particolari. Si incamminarono per la strada bianca – quasi diafana per il residuo chiarore lunare – evitando di calciare il brecciame più grosso. Tutt’intorno giardini sparsi di fiori di campo. Lungo la strada diversi chioschi di angurie e meloni. La produzione era talmente alta che, una volta spaccati, se ne mangiava solo il cuore mentre il resto finiva nelle porcilaie o ad essiccare alla vampa del sole. Sembrava una zona tranquilla, una zona dove vivevano contadini e allevatori che campavano con il loro lavoro. Non una voce o rumore nell’aria ma si sentiva il leggero soffio del vento che andava a rinfrescare le chiome dei rari alberi e ad incunearsi nelle scoline che fiancheggiavano la carreggiata o dividevano le proprietà.
Arrivarono al mare. Adele non lo aveva mai visto. Che grande pozzanghera, fu la sua prima ingenua impressione mentre i bellissimi occhi si muovevano per ammirare il colore dell’acqua e la linea dell’orizzonte così lontana. Sentirono il bisogno di liberarsi del peso e fare un bagno ristoratore. Lasciarono il modesto bagaglio sulla rena; vi poggiarono sopra i vestiti e si diressero verso la riva dove si infrangevano onde basse e l’aria era mossa dalla brezza marina. Francesco si tuffò con sicurezza. Aveva imparato a nuotare da bambino nelle secche e nelle piccole anse dei fiumi. La ragazza, dopo aver esitato, si bagnò calandosi prudentemente nelle acque facendo attenzione perché il mare poteva tendere bruscamente verso l'abisso.
Giocarono a rincorrersi, poi, restarono a fissare il cielo tenendosi per mano. Infine, si guardarono negli occhi senza dire una parola, increduli.
Rinfrancati si rimisero in cammino. Decisero di ritornare in città facendo un altro percorso. Cercarono passaggi di fortuna sulle barozze che abitualmente trasportavano erba medica e fieno per l’inverno. Costeggiarono estesi vigneti e appezzamenti con altre colture.
Una volta giunti a destinazione pernottarono in una casa il cui indirizzo era segnato su un pezzo di carta piegato e ormai sgualcito, ospiti di una signora la cui figlia suonava il piano. La signora era una aristocratica imparentata con un funzionario fascista; la figlia dava l'impressione di essere succube di una madre incontentabile, che la voleva continuamente impegnata nello studio.
Arrivò il giorno che Francesco dovette fare ritorno al paese perciò rientrarono nel piccolo borgo dove ci furono molte promesse e altrettante lacrime. E poi l'addio.
Non si incontrarono mai più.

Pensieri e fragori lontani riportarono Francesco alla realtà. Con le carte a ventaglio nella mano riprendeva a decidere quale carta calare. Questa volta si trovava in quei luoghi per altri motivi, per altre ragioni – anche questa volta lo aveva deciso la vita – mentre nuvole nere si addensavano sulla terra e sul mare.
La città era stata ripulita dai simboli fascisti e molte vie mostravano i segni degli scontri.
Lo sbarco era iniziato. Lampi e tuoni di cannone riempivano l’aria del nord. Nei giorni addietro c’erano state scaramucce e i primi bombardamenti.
I quattro si alzarono e presero la via per i ricoveri, dirigendosi verso la circonvallazione della città.

5 commenti:

  1. non ci metteresti un sottotitolo? una definizione?

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  2. l'immagine è di paola acciarino
    che il mondo lo sappia
    ... o lo seppia

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  3. Grazie Daniela e grazie a Paola che ha interpretato molto bene l'atmosfera...

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  4. bene, perchè è bella l'atmosfera del tuo racconto... :)

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