sabato 27 marzo 2010

IL PRINCIPE E GLI SPAGHETTI di BdM


«Principe, una disgrazia!»
«Che succede, gran ciambellano?»
«Sono finiti gli spaghetti!»
Il ciambellano rimase immobile ad attendere la reazione del principe. Non che fosse un padrone così cattivo. E’ che tutti nella città di Pechino sapevano quanto al principe piacessero gli spaghetti, in tutte le combinazioni possibili.
Del resto solo lui poteva mangiarli. Nelle dispense del palazzo era conservata una quantità apparentemente infinita di spaghetti, donata ai suoi genitori, nel giorno della sua nascita, dalla Maga della Pasta Ardente, l’unica che conoscesse la ricetta segreta. Apparentemente infinita, perché in realtà era proprio finita. Cambiare dieta? Giammai piuttosto…
«Andrò dalla maga. Tu, ciambellano, e altri due servitori verrete con me».
Così deciso, partirono per il viaggio il giorno stesso. Un viaggio niente affatto semplice perché la maga risiedeva nel suo castello oltre la Foresta della Crusca Nera.
Appena entrati nella foresta, infatti, un orso enorme sbarrò loro la strada. Era molto nervoso a causa di un qualche strano fastidio che sentiva su di se. Il gran ciambellano, che aveva imparato il linguaggio degli orsi quando era giovane e viaggiava spesso nelle foreste del nord, confabulò con l’animale e capì il problema. Era infestato dai pidocchi. Bisognava aiutarlo a toglierli uno per uno. Il principe comandò che i due servitori rimanessero con l’orso. Li avrebbero ripresi al ritorno.
Continuarono il viaggio nella foresta, ma un nuovo animale si mise sulla loro strada. Un Leone triste e depresso, sdraiato di traverso sulla strada, impediva il passaggio. Il gran ciambellano, durante un viaggio nelle jungle del sud, aveva imparato anche qualche parola di dialetto leonesco e comunicò con la fiera. Capì che il problema era la solitudine e allora si offrì di fargli compagnia e di fare quattro chiacchiere insieme, così il principe avrebbe potuto proseguire. Così fecero e il principe si mise in viaggio da solo.
Finalmente arrivò al palazzo, bussò ma trovò solo un’anziana che camminava curva e lenta, coperta da una specie di palandrana con tanto di cappuccio che le copriva la testa. La vecchia gli disse che la maga non era in casa e le aveva dato l’incarico di ricevere il principe. Era una maga vera, con tanto di palla di vetro, sapeva che stava arrivando e conosceva il motivo della sua visita. Lei sarebbe giunta appena possibile ma intanto lui avrebbe dovuto procurare la Farina Divina.
«E come? ».
«Devi andare sulla montagna dietro il castello e chiederla all’orco contadino. Sii gentile perché è molto scorbutico, ricordati di chiederlo per favore».
Il principe, che aveva davvero tanta voglia di spaghetti, si arrampicò sulla montagna, ma orgoglioso come era ordinò al contadino di dargli la farina. Quello non fece nulla, come se nessuno avesse parlato. Il principe insistette ma solo quando si inginocchiò e implorò il contadino, quello si alzò e gli consegnò un sacco della sua farina.
Tornato al palazzo trovò ancora soltanto la vecchia.
«La signora ha inviato un messaggio, sta per tornare ma intanto ha ordinato che il principe prepari il sacro impasto mescolando la farina con l’acqua della fonte immortale qui nel castello, poi proceda seguendo la sacra formula .»
«Devo farlo io?».
«E chi altri? Vede forse qualche altro principe?».
Quello emise un lungo sospiro e si rimboccò le maniche. Troppa era la voglia di spaghetti. Mescolo, impasto, segui la sacra formula e infine ottenuta la pasta la tagliuzzò ottenendo una gran quantità di spaghetti che mise ad asciugare eseguendo alla lettera le istruzioni.
Mentre si detergeva la fronte sentì battere sulla sua spalla. Ancora la vecchia.
«La signora ha inviato un altro messaggio: il principe deve raggiungere Esmeralda, la commerciante errante, che passa sotto le mura del castello una volta ogni settimana e comperare guanciale, pecorino, uova.»
Il principe ormai non accennava la minima reazione, si fece indicare la strada e vide che la commerciante errante era già passata. Di corsa la raggiunse e comprò quanto richiesto. Tornato al castello la vecchia era pronta con un altro messaggio.
«La maga è quasi arrivata e fa dire al principe che metta sul fuoco una pentola contenente abbondante acqua che, a bollore, salerà moderatamente. Introdurrà quindi gli spaghetti nell'acqua. Nel frattempo avrà tagliato il guanciale in dadini, lo avrà messo in un tegame con l´aggiunta dell´olio e lasciato friggere fino a quando il grasso non sarà diventato trasparente e leggermente croccante. Avrà sbattuto intanto le uova in una ciotola quindi unito il pecorino, il pepe macinato e, nel momento in cui scolerà la pasta, il guanciale. Quindi il principe porterà il tutto nella sala del banchetto».
Il principe esegui tutto alla perfezione, prese il pentolone e si diresse nella sala del banchetto.
Quando entrò venne accolto da un fragoroso applauso.
A tavola c’erano il gran ciambellano, i due servitori, l’orso pidocchioso, il leone depresso, il contadino della montagna e la commerciante errante. E a capotavola la vecchia, che si era tolto il cappuccio svelando la sua vera identità: la Maga della Pasta Ardente. Tutti seduti e pronti con il tovagliolo intorno al collo.
Il principe rimase impietrito e senza parole, ma venne trasportato di peso e fatto sedere vicino alla maga. Intanto tutti mangiavano con gran gusto gli spaghetti che aveva cucinato così diligentemente. Grandi risate riempivano la sala.
Il principe fissava a bocca aperta la maga che intanto, mentre portava alla bocca quegli spaghetti che sembravano così buoni, gli sorrideva con gli occhi.
«Ma… io sono stato ingannato».
«A sentire questi spaghetti direi piuttosto che sei stato addestrato ed edotto nel modo migliore. Guarda i volti dei tuoi commensali».
Il principe osservò gli altri che stavano gustando il piatto che lui aveva preparato dall’inizio alla fine.
«E adesso assaggiali anche tu, questi spaghetti squisiti»
gli disse la Maga porgendogli la sua forchetta piena di quei filamenti dorati pieni di condimento succulento.
Il principe li assaggiò, fissandola negli occhi, e rimase estasiato. Rimase estasiato dall’atmosfera, dagli occhi della maga e dagli spaghetti che lui, proprio lui, aveva preparato dall’inizio alla fine.
E si senti felice come mai in vita sua.
Quando tornò nella sua città, posò le sue valigie, andò nel centro della città, trovò un bel locale e lo sistemò con tavoli, sedie, una bella cucina e sull’ingresso mise una grande insegna “DAL PRINCIPE DEGLI SPAGHETTI - ristorante”.
E vissero tutti sazi, felici e contenti.

venerdì 19 marzo 2010

NIAGARA FALLS (OMAGGIO ALL'ACQUA) di Matteo Ninni

Richy convinse velocemente sua moglie Lara che un viaggio alle cascate del Niagara avrebbe fatto appassire dall’invidia i vicini. Gli bastò descrivere la polaroid che qualche fotografo ambulante avrebbe scattato per loro: due sorrisi imbarazzati appoggiati su camice colorate e sullo sfondo il grandioso scenario dell'inferno di acqua, spruzzi e fresca nebulizzazione. Lara evaporò in una smorfia forzata, abbracciando il proprio uomo con una stretta plastica. Restò finché poté in quella posizione, rimanendo a fissare il percorso di una lacrima che, con brusche frenate e improvvise accelerazioni, precipitava lungo la camicia color verde mare dell’uomo che tradiva. Lui, invece, il cui padre fu un fulgido esempio di quanto era giusto concedere alle donne, si divincolò a fatica dalla morsa e uscì a bagnare il giardino.Fuori, oltre la siepe d’alloro, stava la famiglia di vicini nel pieno esercizio domenicale di ogni singolo ruolo: Elio, il capofamiglia, armeggiava con il nuovo impianto d’irrigazione; Sonia, donna di casa e postina part-time, valutava pesi e contrappesi di un vassoio colmo di bibite e bicchieri che stava per appoggiare sul tavolo di cemento, sotto il gazebo; Katya, (detta pussy cat tra gli amichetti del college), sdraiata al sole, si spruzzava acqua in faccia, dondolando la testa al ritmo di musica giovane; Robertino, sdraiato sul prato, osservava rapito Beep, cane a tre zampe per la disattenzione di Elio nel tagliare il prato, impegnato a placare la sete con il muso immerso nella ciotola.
- Come sta? - chiese Richy dalla siepe, indicando con il suo muso la bestiola.
- Imparerà a fare il triciclo. Sono bestie versatili che si adattano alle vicissitudini. Sono cani, per dio –
Sonia osservò il marito e provò una tristezza profonda. L’atteggiamento con cui rispondeva a Richy, senza neanche guardarlo in faccia, era esattamente come la scopava a letto, ogni mattina, tenendo la fronte sul cuscino e asfissiandola con l’acqua di colonia appena schiaffeggiata sulla pelle arrossata dalla rasatura. Richy annuì, cercando, senza trovarlo, lo sguardo di Sonia e dentro di sé urtò contro lo stesso odio che, con fatica, aveva represso due minuti prima abbracciato a sua moglie. Poi raccolse la canna dell'acqua e acceso il rubinetto si mise a erogare il giusto rinfresco alla sua piccola proprietà, costata quel che gli era costata.
L’acqua fresca sui piedi lo fece stare meglio.
Quella sera il buio scese presto. Un grosso temporale pareva galoppare da Est, rincorrendo le ultime ore di sole.
Lara e Richy cenarono in fretta e lui, con la maglietta macchiata di salsa, passò dal tavolo direttamente alla poltrona, perché era sabato ed era giorno di Anticipo. Il calcio gli piaceva, perché era l’unica cosa che non aveva mai smesso di pompargli adrenalina.. A Lara invece piaceva la tv perché era come sbirciare dalla tenda della doccia e una sera, parlandone tra di loro, conclusero che la morbosità di spiare e osservare gli altri era un bel valore comune a ogni ambito, intimo e sociale.
Alla fine del primo tempo Richy si finse addormentato e Lara ne approfittò per uscire.
Lampi sempre più vicini tinteggiavano il cielo in fondo alla strada mentre il vento raccoglieva le foglie in cumuli ben allineati. Le bastarono pochi isolati prima di trovare Elio. Era con Beep e incontrarli non fu un caso.
Sonia stava alla finestra dello studio con le braccia conserte e sapeva benissimo dove fosse il marito, con chi e quanto tempo sarebbe stato via. Così le bastò attraversare la siepe d’alloro per gettarsi sulla poltrona con Richy che non seppe trattenersi dal rimproverarle il ritardo.
La donna, mentre subiva la sculacciata, fissava la moquette chiara e non poté notare, oltre la finestra, la siepe e il suo giardino, Katya detta pussy cat, calarsi dalla grondaia di casa. Atletica ed emancipata, arrivata a un metro da terra saltò sul prato ben curato, poi slanciò le braccia verso il cielo, aspettando le scarpe con i tacchi che il piccolo di casa, educato all’omertà fraterna, stava per lanciargli. E così, calzate le ali che spingono in alto, Katya sparì dentro l’auto dai vetri opachi di un figlio di papà parcheggiata sul lato opposto della strada.
La pioggia cominciò a scendere dopo il secondo grosso tuono, improvvisamente e con forza, tanto che a Lara, abbracciata a Elio, venne in mente Richy, l’idea del viaggio alle cascate del Niagara e l’invidia della gente per le coppie sorridenti in mezzo all’acqua. Non ebbe vergogna a piangere ancora, abbracciata a un altro uomo, perché quella era gioia ed era giusto lasciarsi andare. Rise spontaneamente quando Elio, con poesia, le chiese di continuare a piangere, che quella era acqua benedetta e, trasportata dalla pioggia per grondaie, strade e reflussi, avrebbe reso il mondo migliore.
L’intensità del temporale sembrava intenzionata a stabilire il record di precipitazioni. Pozzanghere nere, abbagliate dai lampi, circondavano i marciapiedi, i nani da giardino, le tre zampe di Beep, in una notte che pareva volesse simulare un bombardamento della Nato. Il cane, libero dal guinzaglio e imbarazzato dal livello dei bipedi presente lì attorno, decise di tornarsene a casa da solo, lungo i marciapiedi già spazzati dall’urina. Soffriva della mancanza di Robertino e ne desiderò il suo odore e il tono tranquillizzante della sua voce.
Richy e Sonia, già dopo il secondo tuono, si erano precipitati in giardino. Ridevano ad alta voce, potevano farlo quella sera, perché tanto il frastuono del temporale su tutto il mondo visibile riusciva ad insonorizzare ogni cosa: sensi di colpa, euforia repressa, aria nell’intestino. Si rincorsero sull’erba, scivolando come bambini, trovandosi a terra, una sopra l’altro, poi ripresero a correre, per strada, calciandosi l’acqua addosso, zigzagando tra le auto a passo d’uomo.
Con velocità stupefacente, nel frattempo, l’acqua stava coprendo tutto, mandando fuori orientamento le due coppie di amanti. Sparirono i volumi delle cose, i sussurri della notte, la luce dei lampioni. Venne il black-out e fu buio vero, come quando si dorme e ogni pulsione esce allo scoperto e l’udito genera falsificazione della realtà. Ma solo Robertino realmente dormiva e sognava che a Beep stesse crescendo la zampa nuova. La vedeva allungarsi, prendere forma, riempirsi di peli, tranne che sui polpastrelli. Sognò fino a quando non sentì grattare alla porta. La tempesta terminò che era quasi mattina ed era l’alba quando Katya scese dall’auto con le mutandine nascoste nel pugno. Trovò i quattro adulti fuori nella via, davanti alle loro rispettive case, gesticolanti senza troppa foga e con gli indumenti fradici. Un albero si era abbattuto sulla casa di Elio e Sonia, proprio dove Robertino e Katya pussy cat avevano la cameretta. Il bimbo stava seduto nel prato e osservava Beep dormire sotto il tavolo di cemento.
-È piovuto - disse agli adulti – Beep è tutto bagnato, l’avevamo lasciato fuori. Abbaiava e sono andato ad aprirgli.
Patsy si avvicinò al fratello e toltasi le scarpe gli si sedette a fianco.
Richy, Elio, Sonia e Lara si misero da parte. Un mezzo dei vigili del fuoco aveva bisogno di spazio per parcheggiare e incominciare le operazioni di ripristino dell’area. Erano arrivati i pompieri. Tutto sarebbe tornato come prima.

sabato 13 marzo 2010

MADRIGALE di Naima


Venire a meditare nel mio studio non mi aiuta più di tanto: un tempo, in questo luogo, sfogliando i preziosi testi della mia biblioteca privata, trovavo immediatamente la serenità.

Ma non ho perso l'ispirazione ed è qui che le idee affiorano in modo sorprendente. Mi è di grande conforto l'abate Fernando: un monaco italiano che ha molto viaggiato ed ha vissuto a lungo alla corte di Francia. Conosce segreti e magie. Lo precede una fama oscura, ma in realtà è semplicemente un uomo saggio e sapiente. E' il mio consigliere spirituale ed il mio medico da molti anni, da quando giovanissima andai in sposa al mio signore: fu lui a guarirmi da un brutto male ai reni e a difendermi dalla peste. E' inoltre mio maestro e grazie a lui ho accresciuto la mia conoscenza ad un grado che mai avrei creduto possibile.
In cambio gli offro protezione e privilegi che pochi posseggono a corte.

Ma la sapienza del mio consigliere non può guarire il male che ora mi affligge: ho il cuore spezzato. E poco importa che al contempo sia a rischio la mia vita.

Dopo un lungo consulto, l'abate Fernando mi ha lasciata con queste parole «Mia Signora, la calma propria dell'animo femminile, porterà consiglio. Fate tesoro delle vostre virtù... e della vostra conoscenza»

Il mio Re, mio marito, ha una concubina. Non sarebbe un problema poiché egli ha molte amanti ma costei vive al castello, dorme con lui, fa vita di corte. Nessuna aveva goduto di tali privilegi ed io non ero mai stata disonorata a tal punto. Ho partorito solo due figlie ed in un momento in cui avevo grande ascendente su di lui e sul Consiglio, sono riuscita a fargli modificare le leggi di successione per cui, in assenza di un erede maschio, la primogenita del re sarà regina. Per questo la concubina rappresenta un pericolo: potrebbe dargli un figlio maschio ed egli legittimarlo e assegnargli il trono, la mia testa rotolerebbe in terra e le mie figlie sarebbero rinchiuse in un convento.

L'amore materno mi spinge ad agire: preparo un fazzoletto di seta finissima e filigrana intriso di un potentissimo veleno che non lascia scampo anche al solo contatto: uno degli insegnamenti dell'abate. Conto di offrirlo in dono alla mia rivale, durante la festa che celebra la fine dell'inverno.

Ma poco prima di recarmi alla festa, ritrovata la calma, riesco a ragionare: quel fazzoletto costituirebbe anche la prova inconfutabile del mio delitto.
Arrivano le mie serve, mi aiutano a vestirmi... E' ora di andare, ma prima di richiudere la porta alle mie spalle ho cura di bruciare il fazzoletto tra le fiamme del camino.

Quando entro nella sala delle feste, la trovo già colma di gente; c'è musica, gli ospiti si divertono, ricevo inchini e onori; le mie ancelle mi seguono come angeli custodi. Dò il via ufficiale ai festeggiamenti, i servi portano il cibo, gli invitati brindano alla mia salute. Le nostre feste sono sempre indimenticabili...

Tra una portata e l'altra si conversa animatamente, si beve, si scherza, qualcuno danza; le cortigiane solleticano altri desideri e più di un angolo nascosto accoglie degli amanti.

Il mio signore, al centro della tavola, brilla per la sua arguzia e vivacità, e spesso le sue mani affondano nelle morbide curve della concubina. Io gli sono di fronte, impassibile, sorrido a tutti apparendo serena.

Egli mi stuzzica con battute impertinenti ma so rispondergli a tono, divertendo tutta la compagnia. Per ripicca mi tratta da serva e vuole che gli riempia il boccale di vino: non mi scompongo e lo servo umilmente; con una mano sorreggo la caraffa, con l'altra regolo la mescita. Non appena reclino il recipiente sul suo bicchiere, la levetta interna del mio vistoso anello ne apre uno scomparto interno, nascosto dietro la grossa pietra preziosa, lasciando scivolare nel bicchiere una polvere impalpabile che si mescola al vino.

I musici suonano uno splendido madrigale che porta lontano i miei pensieri e dà conforto all'anima. Mi immergo tra la folla, riprendo a danzare e a ridere.

La festa continuerà fino all'alba e molti saranno gli invitati che la servitù troverà addormentati sui tavoli. Domattina, il servo personale del re cercherà di risvegliarlo con delicatezza, poi tenterà ancora con sempre maggior foga... infine darà l'allarme... e i corridoi del palazzo echeggieranno delle grida disperate della concubina, non ancora gravida.

Come mi ha insegnato il mio maestro: la vendetta è un'arte che va compiuta con calma, costruita con pazienza, progettata con la ragione ma anche con passione... come si fa nel comporre la partitura di una musica perfetta che sa colpire al cuore.

sabato 6 marzo 2010

ANCHE SE LONTANO ANCHE SE MAI di Anna Profumo

«Alors, qu’est-ce qu’on fête?».
«Oui, la surprise, c’est quoi?».
Mi chiamo Libera Liberati ho sempre pensato si debba conoscere la lingua del paese che stai per visitare, ma come al solito a pochi giorni dalla partenza finisco per ascoltare qualche cd per familiarizzare con i suoni. Spengo il lettore prima di fermare, chiudere l’auto e scaricare le due valige. Li ho conosciuti un anno fa', per mesi ho cercato di capire se fidarmi. Pensavo e ripensavo ad alcune frasi ascoltate al loro corso, del tipo: “Muoversi nel mondo con un progetto vitale da realizzare che và al di la della riuscita, seguendo le proprie aspirazioni e utilizzando le nostre capacità e la nostra creatività, l’esprimersi nel mondo ci porta ad avere una sensazione di crescita”.«Al di la della riuscita. Si bravi, e la produttività, il guadagno?»“Agire coerentemente più che un fatto è un intenzione, il si interno è quella fede profonda che il cambiamento è possibile, è l’apertura del futuro, è la voglia di mettere in moto azioni che partono da me e terminano in altri”.«Si, si bravi, e la competizione?».“ripartire dalla base della società, ricostruendo il tessuto sociale … il principio base è solo i popoli possono dare soluzione ai problemi dei popoli … non si tratta solo di portare aiuti, ma di rendere in primo luogo coscienti gli individui di quale sia la causa del loro malessere, di fornire loro degli strumenti per risolvere le problematiche ed infine renderli autonomi nella gestione delle risorse ritrovate”.«Si, e tutta questa voglia di fare chi credete la abbia, meglio non pensare. Che film avete visto?».Volevo capire dove fosse l’inganno. Li ho seguiti, quest’estate, alcuni giorni in un campeggio a Vieste. Un campeggio dove il gruppo organizzava cene di autofinanziamento.«Fatemi capire, voi in vacanza passate la giornata tra supermercato, cucina e servizio ai tavoli, pagando anche un biglietto per avere la cena che vi siete sudati, ma perché?».Ho capito che un po' strani dovevano essere. La parola evoca e scava, qualcosa stava accadendo.“… chi riceve aiuto si impegna a sua volta a darlo ad altri”. Un circolo virtuoso di reciprocità. Il fuoco sacro su queste parole si è acceso per autocombustione, avvertivo il mio ottimismo avvilito produrre un nuovo palpito.Oppure sarà perché con loro ho visto il documentario di Giuseppe Carrisi “Kalami va alla guerra”.Documentario su bambini e bambine soldato in Africa, da vedere più che raccontare. E’la storia di tanti bambini, alcuni di loro oggi adulti per cui non si può più far molto è la storia di altri bambini che stanno vivendo e subendo le stesse cose è la storia di bambini che passano dodici, quattordici ore in miniera calandosi in cunicoli a due chilometri sottoterra a cinquanta centesimi al giorno per estrarre l’eterogenite, materiale strategico che serve a realizzare batterie al litio per i telefoni cellulari e i portatili.Nessuno è disposto a rinunciare al progresso ma bisognerebbe aver consapevolezza dello spreco, delle vite disumane a cui questi bambini ignari sono costretti dal nostro desiderare. Dovremmo saperlo tutti evitare di cambiare il cellulare che funziona per l’ultimo modello uscito. Giuseppe Carrisi è schietto guarda dritto negli occhi, brusco al punto da ricordarti: “una volta che sai, devi fare qualcosa, non puoi più tornare nella tua casa e far finta di nulla”.E’un punto di non ritorno, una volta che sai rischi davvero l’asfissia.Sei consapevole che non ci sono segreti ne eroi, volersi sentire essere Umano al momento giusto, nulla di più ma non è la cosa più facile.
Credo, per ognuno di noi, ci sia un giorno nella storia personale che segna questa differenza, aver l’intuito ed agire segna la linea di demarcazione tra il prima e il dopo.Ieri sera eravamo a cena noi e Babacar, infermiere senegalese. Lui dice che non torna a casa da un anno, racconta che quando arriva a Dakar prende un mezzo e si fa' accompagnare fuori città, prende un calesse e non si ferma fino a che non sente il profumo della campagna, scende e prende tra le mani la terra, solo allora è sicuro di esser tornato a casa.Dice anche che prenderà la patente in Italia, adesso anche gli indiani prendono la patente e lui non vuole continuare a girare in motorino, con queste parole tradisce la competizione tra i popoli migranti. Noi ridiamo.Ci sono giorni in cui una persona sente di fare la cosa giusta e sa che domani sarà diverso, ci sono diverse prove in una vita, ma anche diverse nascite.Mi chiamo Libera Liberati oggi, domani è il giorno del mio compleanno mi sveglierò in Senegal.Percorro il tunnel di imbarco che unisce la pancia dell’aereo all’aeroporto, mai ho sentito così forte “il giusto della vita”.