martedì 27 ottobre 2009

RAGNATELE di Aldo Ardetti


Sabrina andò sotto la doccia dopo aver caricato la macchinetta del caffè. Una rinfrescata veloce per allontanare la stanchezza poi, nel calduccio dell’accappatoio, degustò il contenuto della tazzina e ripensò alla situazione sentimentale nella quale si era cacciata: le piaceva Carlo ma il ritorno in città di Donato – il primo amore che non si scorda mai – non le era scivolato di dosso e le procurava ancora fremiti e tanta curiosità.
Era passato del tempo e si chiedeva cosa avrebbe provato a rivederlo e quanto fossero cambiati.
Nel pasticcio mentale decise di ascoltare i buoni consigli di Federica – così erano sempre stati.

«Vivo un momento particolare. Sotto certi aspetti anche eccitante per i sogni, i desideri e le scelte non fatte. C’è tanta insicurezza, ancora… barcollo.»
«Situazione delicata. E quando mai?»
Sabrina avvertì il peso del tono ironico, di sfottò.
«Che stronza. Non sto cercando un ma-ri-to ma un rapporto convincente e stabile. Mi sono stancata degli uomini di passaggio. Avverto qualcosa di strano.
Sento che mi si sta aprendo un nuovo mondo.
Capita di pormi delle domande e di ottenere risposte immediate che mi convincono.»
«Vieni a prenderti un caffè da me così potrai raccontarmi le tue… pene e cosa ti sta succedendo.»

Sabrina parcheggiò lo scooter sotto casa dell’amica, considerata una sorella maggiore.
«Una visita improvvisa nasconde un problema urgente»,
l’accolse la voce ospitale di Federica.
«Il cuore è impazzito e con lui il cervello»,
rispose Sabrina con un sospiro che sapeva di rassegnazione.
«Mi preoccuperei più per il cervello che per il cuore. Ehm, i nostri problemi, siamo alle solite…»
fece Federica che, nella domanda, aggiungeva segnali di risposta.
«E già, la situazione si è incasinata. Hai saputo di Donato? E adesso c’è Carlo. Sono due persone diverse: il primo mi attrae per la sua bellezza, la sua spontaneità. Una simpatica canaglia. L’altro è un bravo ragazzo che mi fa sentire a mio agio, mi dà sicurezza. Circolano alcune voci sul suo conto ma di lui voglio potermi fidare.»
«Divertiti, vivi una vita spensierata. Non ti creare troppi problemi. Anch’io ho avuto i miei grattacapi. Ti ricordi quante rogne ho avuto solo l’anno scorso? Per il momento, la mia vita voglio viverla giorno per giorno – replicò Federica, e aggiunse – abbiamo ancora tempo per prenderla seriamente» e agitò la mano in aria.
«Questo è il ragionamento di chi pensa di essere eterno.»
«Ci vediamo alla festa di Gaia?»
Sabrina rispose annuendo con il capo.

In un’altra parte della città Massimo sostava su una panchina del parco e anch’egli, nonostante le sue sicurezze economiche e materiali - rifletteva sulla sua vita e, per quanto gli era possibile, sulla psicologia femminile da quando il livello del suo morale si era abbassato in seguito alla rottura con Sandra.
Non aveva mai avuto problemi con le donne ma con Sandra era stata una storia diversa e gli rodeva – ma non lo avrebbe mai confessato – perché, per la prima volta nella sua vita, era stato scaricato.
Avrebbe superato quel difficile momento nello svago e con altre conoscenze, iniziando con la festa che ci sarebbe stata quella sera stessa in casa di Gaia.

Gli invitati arrivavano ad uno ad uno.
Donato, lo schiantatope – per questo era molto invidiato –, si guardava in giro e quando sentì la musica prese per mano Gaia per aprire le danze.
La donna, ex diggei, che amava riempire la casa di oggetti vintage, passò poi alla console casalinga: “Vecchi amori, nuovi amori” augurò a tutti mentre guardava Carlo con espressione indagatoria. Aveva saputo del ritorno di Donato e voleva osservare il comportamento dell’uomo?
«Cosa ha da guardare quella?»,
esclamò Sabrina quasi infastidita. Carlo rispose con gli occhi.
Donato si avvicinò per invitarla a ballare e la strinse a sé confermando di non aver perso la faccia tosta.
Carlo si irrigidì e si sarebbe mostrato avaro di baci e coccole per tutta la serata. La gelosia sarebbe stata la sua penitenza.
Federica e Gaia, che conoscevano tanta gente, avevano invitato proprio tutti.
Con Massimo, Sabrina ebbe un breve approccio confessionale; lo conosceva di vista e ne aveva sentito parlare non sempre bene.
Gli uomini erano tutti mascalzoni?
Massimo le piaceva, non era male, ma era dubbiosa sul personaggio. Il loro incontro si limitò ad alcune battute amichevoli con la promessa di non perdersi di vista.
La festa si stava infiammando.
Sandra e Massimo finirono di nuovo l’una nelle braccia dell’altro. Ora Sandra aveva la testa sulla spalla di lui.
Gaia era tra le braccia di Donato mentre Carlo si intratteneva con Federica.
«Bell’amica!»
sussurrò Sabrina pensando a tutte quelle volte che avevano parlato di finte amicizie impegnate nella cattiva rivalità per la supremazia.
In quel momento capiva di essere egoista ma era lei ad aver bisogno d’aiuto.

Il giorno era sembrato sorgere speranzoso; l’occasione non sarebbe mancata, ripeteva, e infatti era partita con slancio ma non ci mise molto a capire quanto era stata superficiale, precipitosa per l’ottimismo che non le aveva fatto capire, suggerito che nella vita non si può solo scegliere ma è importante essere scelte.
La serata festosa non sembrava regalarle la conclusione desiderata. In quel grande salone, le cui finestre erano state lasciate aperte per il fumo, si sentiva sola e si domandò se quello che le stava accadendo era voluto.
«Come possono le persone fare del male al loro prossimo, gioire delle sofferenze altrui, avere invidia per il successo degli altri, invece di provare pietà, compassione, avere senso di giustizia e, nel suo caso, simpatia e comprensione?» elaborò mentalmente.
Nella mano stringeva ancora un bicchiere ormai vuoto mentre lo sguardo cercava di cogliere le espressioni di quella gente che sembrava divertirsi.
Le venne in mente quello che dice Mia Wallace a Vincent Vega in Pulp Fiction di Quentin Tarantino sui silenzi che mettono a disagio... «Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate, per sentirci a nostro agio? E’ solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.»
Nell’ampio soggiorno il fumo diventò nebbia.
Per motivi diversi ma più degli altri, Massimo, alias Canna fumaria e Carlo, alias Cannone di Navarone, si davano da fare per aumentare nell’aria l’odore di canne e di resina.
Ogni tanto – con turni che sembravano essere stati predefiniti – qualcuno spariva per ripresentarsi euforico non certo per aver dato sollievo alla vescica.
Nei bagni e nelle camere da letto altri avevano sniffato – traditi da alcune tracce – e approfittato per una sveltina.
La situazione – già ingarbugliata – si era ulteriormente aggravata, anzi – sentimentalmente – si era azzerata.
Era arrivato il momento di crescere, di ritrovare se stessa, pensò. Questa volta senza l’aiuto di nessuno ma con la forza del proprio coraggio.
L’aiuto degli altri non era stato efficace.
Fuori, il luccichio sulle foglie e sull’asfalto, era come se le indicasse un’altra festa.
Sabrina decise di rientrare anzitempo.
Eppure era una bella ragazza: alta, elegante, sempre ben curata e occhi che ricordavano il colore del mare.
Spesso la rincorrevano le frasi di ammirazione costruite con parole prettamente maschili.
«…’fanculo tutti» fu, infine, il saluto di commiato e uscì risoluta, nonostante la pioggia battente, a cercare altre storie in una nuova vita semplice e vera, dove la gente riusciva ancora a emozionarsi, dove poter riemergere per prendere una boccata di aria fresca.



(pubblicato in data 27 ottobre 2009)

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