sabato 16 ottobre 2010

PONTILE di Aldo Ardetti

Non era vecchio ma aveva accumulato mezza dozzina di decenni.
Sul pontile avanzava lentamente facendo attenzione a non inciampare. Di tanto in tanto veniva distratto nell’incrociare turisti della domenica, poi riacciuffava i propri pensieri da dove li aveva lasciati.
Dal rientro in città era la prima volta che rivedeva quel luogo pur avendo fatto il possibile per evitarlo.
Il posto era cambiato: un bar-ristorante stagionale, l’altro, quello più vicino al mare, recintato da lamiere perché pericolante, e lo spiazzo accidentato con le macchine parcheggiate alla rinfusa. Aveva fermato la macchina dopo aver messo a dura prova gli ammortizzatori su quei crateri lunari e subìto il riflesso di luce dal fondo bianchissimo del piazzale.
Si sedette su un frangiflutti – un grosso cubo di pietrisco affogato nel cemento – e guardò il mare, poi la linea dell’orizzonte verso l’infinito con i ricordi che riaffioravano in uno dei suoi luoghi – come amava considerarli – dove una barca che rientrava, aspettava l’onda buona per infilarsi col motore a tutta tra i due bracci del pontile. Un’abitudine che si ripeteva anche dopo il dragaggio del naviglio per il riflusso dell’acqua che – soprattutto con le mareggiate – formava dune sottomarine all’imbocco del porto canale. Solo per i pescatori e i naviganti stanziali era facile approdare indenni alla darsena.
“Che ne sappiamo noi? non possiamo metterci a controllare se viene rispettata la frequenza dei dragaggi – esclamava stizzito Baffo, uno dei pescatori battaglieri – Sai quante barche si sono arenate e con l’onda successiva ribaltate per l’insabbiatura dell’imboccatura?”.

Il sapore salmastro si mischiava all’odore di erba secca e della ruggine dei verricelli, delle ancore e catene. Un odore che andava fin dentro i polmoni.
La ruggine sulle barche disoccupate da tempo, disarmate, che galleggiavano tra alghe marce o giacevano nell’erbaccia radicata alla riva. Dappertutto reti e sugheri asciugavano al sole.
I gabbiani scrutavano l’acqua trasparente per mirare e tuffarsi sulle prede; qualche mucchio di fradicio sartiame, il battere di sagole e scotte sugli alberi delle barche in secca quando s’alzava l’urlo del vento: deng… deng… deng, un cupo rumore metallico lento e costante, sempre uguale, come di campana a morto.

Sotto il passaggio pedonale, pietre si eclissavano nell’acqua mentre sul lato esterno massi proteggevano dalle mareggiate invernali quando il mare sa essere cattivo, non risparmiando i fianchi e minacciando di divorare la strada litoranea come era accaduto in un lungo tratto di costa ritornata selvaggia dopo che la strada era sparita, inghiottita dall’arenile.
Sull’altro lato del canale il ‘vicolo chiuso’, chiamato così perché dopo un ampio parcheggio di terra battuta con residui di brecciame, si finiva sulla spiaggia dove un ristorantino a conduzione familiare – ch’è meglio inserire nella categoria delle trattorie, e già sarebbe una benevola concessione – spandeva odori di pescato. Vicino i ruderi di una torre d’avvistamento avvolti da radici, rovi e frasche morte. Rami di fico selvatico avvolgevano le macerie e si allungavano sulla sabbia come serpenti, diventando trappole per i passanti che si trovavano da quelle parti perché stranieri o per
esigenze fisiologiche. Poco lontano i resti di alcune torrette di cemento, bunker abitati nell’ultimo conflitto mondiale e, tutt’intorno, i fiori della duna nelle chiazze sabbiose concesse dalla flora mediterranea, quelli delle piante grasse con le unghie di strega che creano tappeti dal colore sanguigno.

Ricordava le notti passate a far compagnia ai pescatori, quelli con le bilance che si contendevano le postazioni. I più anziani avevano il tacito diritto di piazzare il loro palo allo stesso posto dove avevano costruito il punto di appoggio. Pescare con la bilancia è faticoso: ci vuole forza e ce ne vuole tanta con la corrente forte o quando tira vento. Se vuoi pescare qualcosa, devi tirarla su ogni volta che transita una imbarcazione ché mette in movimento il pesce che, in un porto canale, prende il sapore di petrolio, del carburante combusto o disperso dalle barche.

Su quel pontile vide Lorella per la prima volta. Era sdraiata su un frangiflutti. Si sosteneva con le braccia puntate all’indietro e il viso esposto al cielo per prendere il primo sole. Calzava stivaletti, vestiva con tonalità grigie: una gonna a quadri, camicia bianca con cravatta del colore e disegno della stessa. Conversava con un’altra ragazza, un’amica, in piedi vicino a lei.
Lorella aveva una carnagione chiara, lineamenti delicati, modi gentili e un sorriso indescrivibile; aveva gli occhi belli – chiari con riflessi diamantini, sorridenti – e non potevi non innamorartene. L’amica, invece, dava una impressione di volgarità, in sovrappeso con un profilo che ricordava il genio della lampada di Aladino. Avete presente un viso con gli occhi leggermente asiatici e con i capelli raccolti a ciuffo? Ecco, proprio così.

Nelle visite ai ‘suoi luoghi’ non dimenticava la macchina fotografica. Così iniziarono le pose per i primi scatti, le passeggiate e gli appuntamenti al pontile fino al giorno che, per infiniti motivi o forse per un deciso destino, la vita come ti fa incontrare ti fa dividere, ti tradisce fino a diventare amara.

Quando era tornato in città, tra le prime cose, appuntò di fare una visita al cimitero. Nell’accomiatarsi dalla tomba del congiunto gli venne spontaneo dare un’occhiata in giro. E’ accaduto di ritrovare in questi luoghi persone non incontrate da tempo. Fu attratto dalla foto a colori di una bella donna che però non distingueva. Quando si allungò per mettere a fuoco la lapide, vide che era Lorella e ne lesse il nome in lettere bronzee.
Andò a rintracciare l’amica… il genio della lampada.

Abitava ancora nel vecchio quartiere – il Villaggio – e la vide in lontananza avanzare appesantita dagli anni, procedere strisciando i piedi grossi e deformi.
“Ciao, mi riconosci?”
“Sì, anche se con pancetta e i capelli rimasti”.
“Che è successo a Lorella?”
La donna rispose dopo aver superato il momento di sorpresa.
“Lorella è morta”.
“Questo lo so, sono stato al cimitero questa mattina. Ma cosa le è successo per morire così giovane?”
“Una notte di febbraio la trovarono lungo
la Statale. Qualcuno l’aveva uccisa”.
“Sulla Statale? e che ci faceva…”
“…e che ci faceva, non lo capisci?”
“Perché quella fine?...”
“Il suo desiderio era andare via dalla campagna, dalla famiglia, evadere per vedere e conoscere qualcos’altro. Aveva fretta di farlo e purtroppo si è buttata tra le braccia della persona sbagliata”.
“Di quale persona parli?”
“Gente di fuori, delinquenti. Farabutti che prima ti fanno sognare, ti lusingano, ti promettono mari e monti e poi ti fanno fare quella fine, la fine che ha fatto Lorella”.
La donna stava accusando un malessere: il cuore rischiò di scoppiarle insieme al pianto mentre lui, di colpo, avrebbe voluto che i suoi luoghi fossero altri.

Decise di rientrare. Alla riva un tellinaro trainava il suo rastrello inveendo quando sorprendeva troppi granchi e si sentì arrivare le voci di una ciurma di pescatori. Riconobbe Baffo: ma quanti anni aveva? Il suo volto era quello della gente di mare: segnato dal vento, dal sole e dalla salsedine. E dall’umidità della notte.
“Giovanotto, ti ho riconosciuto, sai – e rivolgendosi agli altri – …questo è un vecchio amico, ragazzi”.
Si raccontava che in certe notti appariva una figura diafana passeggiare sul pontile.
“Baffo, è vera ‘sta storia del fantasma?”
“Ce ne sono tanti di fantasmi sul mare e nella testa della gente che ormai non ci si fa più caso” e con la mano fece un gesto di saluto mentre le sue labbra accennavano a disegnare un sorriso.
Tutto sembrava svolgersi lentamente come se il tempo non avesse fretta. L’acqua del rio faceva intravedere le alghe filiformi piegate dalla corrente. L’unico rumore era lo sciabordio sulle fiancate delle barche che specchiavano nell’acqua il colore degli scafi e si rintuzzavano con i vecchi pneumatici salvabordi.

9 commenti:

  1. ... lo sto assaporando questo racconto dal profumo di mare

    RispondiElimina
  2. ... con l'immagine di uno scatto fotografico dai tempi troppo lenti

    RispondiElimina
  3. Bello l'omaggio "delicato" a quella donna ...

    RispondiElimina
  4. Sì, vuole essere l'omaggio a quella donna che non ha vissuto e fatto quella fine che non ha cercato.
    Ci pensavo da tempo e spero di far sorridere 'Lorella' per questa memoria.
    Grazie Anna per queste tue immagini istantanee

    RispondiElimina
  5. Aldo, è un racconto intensissimo e struggente... Complimenti! A quando una raccolta dedicata ai luoghi della città?

    RispondiElimina