lunedì 21 settembre 2009

ESSERE UNO di Anna Profumo


Questo è il periodo peggiore dell’anno. Inutile tentare la fuga, tutti malati di momentaneo buonismo. In batteria ti fermano, salutano e fanno auguri. Chiedono come stai, cosa hai fatto in questi anni, e appena provi ad accennare a qualcosa, cominciano a raccontare le disgrazie di mezza famiglia, tanto per farti sentire fortunato, solo qualche raffreddore negli ultimi tre anni. Saluti facendo: «Tanti auguri di salute a tutti». Sei lì e ascolti cortese, chiedendoti “Dove, la selezione della specie ha sbagliato?”
Tutto concertato, pochi giorni di solidale consumistico Natale.
Tornati a casa chiudono avidamente la porta e si imbottiscono di pillole per il colesterolo, gocce per l’ansia, pasticchette per il cuore e dimenticano il mondo.
Guardo con la mia faccia innocua tutte queste persone che corrono.
Aspetto lei, sono tre giorni che aspetto, comincio a preoccuparmi. La puntualità non è il suo forte ma non ha mai tardato più di due ore. Sono davanti al portone di casa sua. Qua sotto non ci sono bar, se ci fossero sarebbe più facile. Fingo di aspettare qualcuno. Devo stare attento, la gente mi guarda. Do a intendere di parlare al telefono, scendo e mi avvicino ad un portone. In genere smettono presto di diffidare ci fanno l’abitudine. Non ho un aspetto minaccioso, appaio distinto, innocuo. Quelli che incrocio più spesso li saluto, come se abitassi in zona. La gente dopo un po’ non ci fa’ più caso. Si danno sempre una spiegazione – Il padre di quella del terzo piano; qualcuno pensa l’amante della brunetta del quinto, quella che a cinquant’anni và in giro ancora con le minigonne; per altri sono l’amico di quella che porta fuori il cane e tutte le mattine compra un pacchetto di Gauloises dal tabaccaio in piazza. Per loro divento ben preso routine e io gratificato dall’attribuzione di tutte queste amicizie femminili, mi ringalluzzisco. Soprattutto gli anziani, non avendo molto da fare mi guardano dal balcone o quando escono col cane. Le vecchie così affacciate sembrano provate, le pervade una certa tristezza. Non riesco a farmele piacere, sento che incarnano la fine, non vedo futuro in loro, spente, lagnose, pesanti come se la gravità fosse accanita su loro.
Ancor più evidente quando gli passano accanto i giovani, argento vivo che rende precario il loro equilibrio. Sembrano barchette sul mare calmo a cui sfreccia vicino un motoscafo. Cominciano ad ondeggiare in balia di chissà quali correnti. E l’invidia le spinge a borbottare. Non le capisco. Un uomo come me sente la morte come sorella. Sollevatrice dalle angosce. Non mi piacciono le vecchie.
Lei non arriva, tornerò domani.
Ecco, oggi va meglio, torna presto dal lavoro. Ha gusto per molte cose. Mi piace quel suo modo di camminare, anche carica di pesi. Torna dal negozio con la borsa di tela, a volte ne ha anche due o la cassa d’acqua, tutto quel peso trasportato con dignità africana. Ai miei tempi non avrei fatto quest’esempio, le donne portavano pesi sulla testa per chilometri e sembrava che la fatica non le riguardasse. Sembravano sfiorare il suolo tanto il loro passo era leggero.
Lei me le ricorda. L’ho notata per il suo modo di vestire, si distingue, non c’è niente di lei che sembri alla moda o di tendenza, eppure si distingue. Non è di sicuro una delle tante copia-veline televisive che si vedono in giro e che piacciono tanto ai mosconi di oggi. Anzi se volete, fuori moda per i tempi che corrono, troppa carne intorno alle ossa, ma per uno dei miei tempi è un piacere per gli occhi.
Sa stare al posto suo. L’ho ascoltata raccontare all’amica del suo lavoro, non ho capito bene cosa faccia, ha una squadra a cui da ordini e comanda degli uomini. Dice che è difficile. Sa dei commenti che fanno sulle sue poppe e sul resto.
Bestie, ai tempi miei ci facevamo la corte alle donne. Non c’era malizia, le rispettavamo. Era bello corteggiarne una, ragazza o sposata che fosse, era un dovere scambiare due parole farle un complimento in amicizia, accompagnarla se andava sola per non farle accadere nulla di male.
Ai miei tempi le donne si spaccavano la schiena come ha fatto mia moglie allevando i figli e andando a servizio per arrotondare il mio stipendio. Ricordo le sue mani, il nero sotto le unghie anche se le strofinava fino a farle diventare rosse.
Questa è una signora, come tante donne oggi. Le mani sono curate, pittura le unghie con un lucido naturale niente di sgargiante. Sono belle le mani delle donne oggi. Se penso a una carezza, penso a certe signorine dei tempi miei. Morbide manine senza calli.
Il volto ovale assume un taglio duro con i capelli lunghi legati stretti in una coda alta. Veste abiti neri a cui concede il colore di un foulard o di una sciarpa. Queste mi hanno colpito.
Foulard e cravatte, ne ho una vera passione, mia moglie non capiva perché spendessi tanti soldi per una cravatta. Ero capace di lucidare per anni le stesse scarpe, fino a consumarne la tomaia pur di conservare i soldi per comprare quella che mi piaceva. E che figurone ci facevo quando andavamo a ballare, il barone mi chiamavano. Mi piaceva avere l’attenzione della sala, la sua bella figura che volteggiava tra le mie braccia ed i miei foulard. Per questo apprezzo chi ha gusto nel coprire il collo. Lei ha un bel collo da coprire. E io continuo a spendere soldi per coprire il mio.
Voi pensate che debba essere un po’ innamorato di lei, tanto ne parlo. Sciocchi, chiaro che mi piace ma non è come pensate.
Seduto accanto al suo gruppo di amici li ascolto programmare la serata, non ha un ragazzo è sola. Meglio, tutti imbecilli. Con due non ne fai uno buono.
Lei dice di no, con le amiche insiste, hanno tante qualità vanno incoraggiati. Dice che le donne di oggi li spaventano.
Stronzate, sono dei mollaccioni. Un invettiva in piazza mi verrebbe da fare. Ma si è mai visto? Ma che credono sia la vita? Una città dei balocchi eterna. Poi si lamentano di quel dolore e noia che sentono. Questi rimandano la vita, soffrono convinti che sia così che si deve fare, si fanno scappare gl’anni così. I sogni li fanno ammuffire questi coglioni.
Meno male che ho avuto tutte femmine. Per digerire i loro mariti c’ho messo anni ma almeno si impegnano, si danno da fare per i figli. In tanti anni ho capito, come disse Biagi - il giornalista - «Il momento del coglione capita a tutti.»
«Aspettiamo che passi.» Questo dicevo sempre alle mie figlie.
Che ci sto a fare ancora qua sotto? Solo. Per farle compagnia. E lei non sa neanche che esisto. Penserà anche lei che sono un suo vicino, ha cominciato a rispondere al mio saluto. Buongiorno e buonasera. L’altra sera l’ho vista che scendeva con le buste dell’immondizia, fa la differenziata, brava ragazza. Ho avuto un colpo di genio, al volo ho raccolto le buste lasciate a terra, la lattina di chinotto e il pacchetto di carta che quel cretino con il suv ha lanciato in terra prima di sparire dietro l’angolo. E mi sono avvicinato ai secchioni. Lei mi ha visto che raccoglievo il pacchetto da terra. «Non lo farebbero tutti, lei è fuori dal comune, complimenti per il gesto». Così da vicino la vedo meglio, gli occhi dello stesso colore della madre. Resto un po’ impacciato, lei se ne accorge e mi sorride. Una macchina si avvicina, lei fa’ cenno che arriva.
«Arrivederci» saluta lei. «Arrivederci» dico io.
«Piccola mia», avrei voluto dire invece. Mi accarezzo il foulard, stasera lo avevamo dello stesso colore.
(pubblicato in data 21 settembre 2009)

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