lunedì 14 settembre 2009

LA MADRE DEL RAGIONIERE UMBERTO Storia di città virtuali e di fantasmi di Aldo Ardetti


Abito in un quartiere semicentrale e quando mi chiedevano in quale zona, rispondevo: «Al Colosseo», per la forma semicircolare del palazzo che ricorda l’anfiteatro Flavio. Anni fa era terra di elettrodotti nella nebbia, di stagni gracidanti e orti di cicorie; poi c’hanno costruito un grande centro commerciale e tirato su pure due grattacielo uno dei quali risulta essere il più alto d’Italia per cui, quando mi chiedono dove abito, adesso dico: «Vivo nel quartiere Manhattan», il quartiere dei palazzi moderni che non suscitano ricordi né alcuna memoria storica.
Nel centro commerciale operano tutte le attività possibili: studi di professionisti e uffici di società di servizi ma è diventato anche una città che la gente raggiunge per fare compere, per trascorrere il tempo davanti alle vetrine, portare i bambini – i propri figli – a degustare gastronomia macdonald.
E’ un paese virtuale anche per vecchi.
I pensionati si siedono sulle panchine – possibilmente ai lati, distanti tra loro – senza guardarsi, senza parlarsi, senza girarsi … muti e solinghi in un mare di triste solitudine, con gli occhi che cercano nel vuoto.
Eppure una volta ci si vantava del territorio, delle gite ‘fuoriporta’ al mare, ai laghi, sui monti – e tutto a portata di mano, ad un tiro di schioppo.
E’ evidente che, da queste parti, il paradiso terrestre non è più considerato, non va più di moda.

Ci si incontrava abitualmente nel tardo pomeriggio, in prossimità delle scadenze fiscali.
Tutta la vita aveva fatto il ragioniere.
Ora si manteneva in esercizio arrotondando la pensione.
Quel pomeriggio entrò in casa e si diresse sudaticcio verso la sua sedia.
Aveva il viso imperlato di sudore e leggermente in affanno. Se la faceva a piedi – nonostante fosse quasi più largo che alto – per mantenere in forma sia la mente che il fisico, diceva.
Veniva da lontano, da un nuovo quartiere periferico col quale la città si espande verso il mare.
Dopo aver parlato di numeri e fatto di conto, l’incontro veniva concluso con la discussione di un argomento salottiero e delle notizie dell’ultima edizione del tiggì.
Con me si trovava bene perché, ripeteva, ero un buon cliente: non ero parsimonioso come altri; e di qualcuno faceva anche il nome.

Quella volta avvertii continue esitazioni nel suo parlare che di solito era chiaro, sicuro e ragionato.
Lo avevo notato altre volte come se Umberto, questo il suo nome, volesse confessare qualcosa che non riusciva a nascondere, che gli pesasse in un angolo profondo della coscienza.
Non tardò a prendere coraggio per far tracimare ulteriori parole.
«Cre-credo di vedere mia madre.»
«Vedi tua madre? Mi hai sempre detto che l’hai persa anni fa.»
«Sì, ma ti dico che l’ho vista.»
«E in quale sogno sarebbe avvenuto l’incontro?» risposi ironico.
«Sogno? La vedo al mercato settimanale.»
«La vedi o l’hai vista?»
«La vedo da tempo. Non è la prima volta.»
«Umbe’ – venne spontanea l’esclamazione confidenziale – ti rendi conto di quello che stai dicendo? Vuoi impressionarmi o ti si sta avariando il cervello?»
«Nooo-o, l’ho vistaaa! Era lei, mi ha sorriso e mi ha salutato con la mano. Mi faceva così... » e imitò con la mano il movimento dei tergicristalli delle automobili.
«E tu... ?»
«Sono rimasto come paralizzato, imbambolato.
Poi le ho fatto un cenno di fermarsi ma è sparita nel fiume di persone. Aveva l’aspetto di come la ricordavo.
Non parla, si limita a sorridermi. Solo in una occasione mi è passata vicino, superandomi. Ho avuto la sensazione che trapassasse il mio corpo per girarsi verso di me dopo qualche metro. Probabilmente per mostrare il viso e farsi riconoscere.»
«A ragionie’, con tutto il rispetto ma è assurdo quello che sto ascoltando.»
«Capisco, ma ti assicuro che non sono andato fuori di testa. Tu non vuoi credermi. Il tuo scetticismo non ti permette di credere ma si tratta di mia madre. Per me è un evento eccezionale, importante. E’ tornare indietro nel tempo e mi dà certezze, sicurezze per il futuro.»
« ...io devo credere per farti contento?»
«Volevo che tu sapessi! Solo questo, raccontarlo a qualcuno per non tenere per me questo segreto così pesante ma straordinario. Forse anche per... »

Non volle finire la frase ma immaginai cosa desiderava dire e notai lo sforzo per completarla mentalmente.
«Adesso cosa intendi fare?» chiesi.
«Nulla, mi basta credere in quello che ho visto e sapere che continuerò a vederla. Pensare che qualcosa continua dopo di noi.»

Capita anche a me di andare al mercato.
Ci sono cresciuto con gli stracci americani ammonticchiati sui banchi. C’è un reparto apposta.
Mi aggiravo nella babele di mercanzia mentre si erano presentati pioggia e vento, quando venni urtato da una donna di una certa età.
Il fatto si ripeté e non seppi trattenermi:
«Signora, che diamine!»
«Mi scusi ma non sapevo come attirare la sua attenzione.»
«Bastava rivolgermi la parola, cosa vuole da me?»
«E’ bravo il mio Umbertino?»
«Umbertino?»
«Il suo amico ragioniere.»
«Ma se ha più di settant’anni.»
«Lo so e tra un po’ mi verrà a trovare.»
«Scusi, non vorrei essere scortese, ma lei chi è?»
«Non è importante. Mi raccomando, me lo saluti.»
«Perché non lo fa lei stessa?»
«Non mi è permesso.»
«Scusi non capisco, proprio non afferro.»
«Non si preoccupi, riferisca. Umbertino mi conosce molto bene. Oh, sì, mi conosce molto bene.»
Dopodiché la donna si dileguò in gran fretta.

Quando rientrai in casa mi diressi verso la doccia lasciando tracce con i miei vestiti.
Indispettito dalle parole e dal comportamento strano di quella donna, desideravo tornare alla mia realtà facendo finta che nulla fosse accaduto.
Infine, seduto in poltrona mi concedevo un abbandono rilassante cercando – inutilmente – di scacciare pensieri, domande e risposte che transitavano veloci e incontrollate.

Dopo qualche giorno Umberto tornò per consegnarmi i moduli compilati, pronti per essere inoltrati.
Con mano tremolante mi mostrò una fotografia.
«Questa è mia madre.»
Restai senza respiro, immobile con gli occhi e tutto il resto del corpo.
«Questa persona io l’ho vista al mercato e c’ho anche parlato.»
«Davvero, e cosa ti ha detto? Raccontami.»
«Mi ha chiesto di te, di salutarti. Sapeva che ci conosciamo.»
«Ora sei convinto che ti ho detto la verità? Non mi sono rincoglionito – disse proprio così – e non devo preoccuparmi di quello che può pensare la gente.»
«Tutti abbiamo bisogno di vivere anche di fantasia e spesso trasferirci su qualche nuvola», pensai tra me e me non volendo cedere nonostante tutto.

Umberto andò via soddisfatto con il compiacimento e l’orgoglio che in quel momento poteva mostrare.
Un martedì – giorno di mercato settimanale – mentre il sole era a mezzogiorno e abiti e tessuti chiari appesi ai tendoni amplificavano la luce dalla quale le retine del popolo di avventori cercavano di difendersi, Umberto stramazzò a terra.
Cadde con il braccio teso e la mano aperta come a indicare qualcosa. Sul viso era abbozzato un sorriso misto a sorpresa e meraviglia.
Così Umberto aveva raggiunto sua madre.
E questa è una storia vera.

(pubblicato in data 14 settembre 2009)

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