lunedì 20 luglio 2009

NEMESI ATIPICA ( parte 2 di 3) di Pasquale Bruno Di Marco


«Pausa, finalmente.
Una settimana che sono rientrato al lavoro e già non ce la faccio più. Non sono fatto per il lavoro fisico e invece qui devo usare tutto meno che il cervello.
Una settimana e la ragioniera mi avrà rivolto si e no 10 parole: tutti ordini.
Neanche una volta che mi abbia chiesto come sto. Ho fatto tre giorni di ospedale per riprendermi dal semiassideramento. Tre giorni con quell’infermiera che si prendeva cura di me. Bellina, un po’ rotondetta mi pare, bionda e due occhi che mi fissavano intensamente ogni volta che mi parlava. Mi metteva un po’ in soggezione, veramente. Anche perché ogni volta che mi parlava sembrava mi desse degli ordini anche lei. Mi ha fatto un sacco di quelle fiale che facevano un male cane, ma non osavo dirle nulla. Mi curava, che vuoi che sia un po’ di dolore? E poi mi fissava con quello sguardo appuntito. Mi ricordava la maestra delle elementari che ogni tanto, mentre spiegava, si interrompeva all’improvviso e mi fissava così, come se cercasse solo un pretesto per mettermi in punizione.»

«La ragioniera, invece, non mi calcola proprio. Guardala là. Secca come un chiodo. Però le tette non ce l’ha affatto piccole. Vuoi vedere che ha ragione Mario, che si è rifatta tutta. Sempre con vestiti stretti per far vedere che è ancora soda anche se non giovanissima. Palestra, ci vuole far credere. Mario ha detto che una volta ha visto dentro la borsa quello che si porta dietro. Hai una dipendenza da clisteri, bella. Perché saresti pure bella se non avessi alterato così il tuo corpo. “Il tuo corpo è un tempio” diceva il mio maestro di arti marziali. Anche se poi lo incontravo che fumava in ascensore con una bottiglia di birra in mano.
Lei però ha proprio alterato il suo corpo e la sua faccia, con quelle labbra rifatte e quei zigomi imbottiti di botulino. Tutto per diventare una icona di questa società dell’apparenza. Niente è più naturale e nemmeno i nostri corpi lo devono essere: è questo che ci impongono. Snaturarci per non riconoscerci più.»

«Ma io non mi farò imporre questa filosofia malefica, mi ribello a questo omologazione di bellezza artefatta e pure irraggiungibile. Tu, stolta, hai deciso di diventare un clone di modelli televisivi e violentando così il tuo corpo ne hai violato il tempio! È giusto che la punizione ti colpisca, attraverso te si riverberi in tutte la copie che tu rappresenti e raggiunga il modello originale, motore di tutta questa follia. E io sarò il mezzo attraverso il quale la punizione si compirà. Sarò la tua Nemesi.»

«Ho studiato tutto: arrivo al lavoro, i movimenti, i tempi. La ragioniera arriva al lavoro alle 8,30, subito si dirige nel suo ufficio in quel box metallico che domina tutto il magazzino dall’alto. Alle 10,30 esce dall’ufficio e va al bar “da Ciccia” di fronte per fare colazione: cornetto integrale al miele e cappuccino. Torna al magazzino, sale le scale in ferro e torna nel suo ufficio per ricominciare il lavoro. Le scale sono il punto adatto. Ho studiato il suo modo di scendere, è sempre di corsa mentre parla al cellulare o cerca cose nella borsa. Non afferra mai il corrimano, mica è una vecchietta coi dolori articolari, lei fa palestra. Basterà fare in modo che inciampi, una caduta con 18 scalini da ruzzolare. Il mezzo: un filo di nylon, invisibile con la luce scarsa che c’è qui dentro, teso ad una altezza di circa 30 cm in modo che ostacoli il piede al momento dello stacco dal gradino, con il corpo sbilanciato. A quel punto lei avrà le mani occupate come al solito e non riuscirà a frenare la caduta.
Predisporrò il filo prima del suo arrivo, ma solo prima della uscita della ragioniera a metà mattina metterò un peso per farlo tendere in modo adatto.
Dopo l’incidente staccherò il peso e tirerò il filo dall’altra parte facendolo sparire. Et voilà il gioco è fatto. Per tutti sarà un incidente. Perfetto.»

«E’ quasi l’ora. La ragioniera è in ufficio, il filo è pronto, manca solo l’operazione zavorra. Annodo il peso.
Qualcosa non va. Avevo calcolato che doveva allungarsi di circa cm 50 e invece non si è quasi mosso. Eppure è teso, a meno che… cribbio! Si è incastrato sotto il gradino, e ora? Che faccio? Non posso lasciarlo lì. Devo sganciarlo. Sono le 10,20. Salgo piano. Ecco, sono quasi al filo. Devo lavorare accovacciato per non farmi vedere che la porta dell’ufficio è a vetri per la metà superiore. Ci sono riuscito. Adesso si tende come previsto, posso tornare giù. Ma prima controllo che fa la ragioniera. E’ davanti al pc che lavora. Anzi, no! Guarda un sito porno! Donne nude che si … ma allora lei è una di quelle… cioè no, di quell’altre… spegne il pc! Mi devo levare di qua veloc… porca vacca il filo!... Ah… acc... ork… ahi! »

«Ahi!»
«Buono, sei di nuovo al pronto soccorso. Stavolta qualche contusione e qualche abrasione.»
«Come dice?»
«Non ti ricordi di me, allora.»
«Si, certo, ahi! Lei è l’infermiera dell’altra volta, come sta?»
«Meglio di te, sicuramente. Ti sto applicando le cure del caso: tintura di iodio sulle abrasioni.»
«Ahi, ma brucia.»
«Se brucia è perché sta facendo effetto.»
«Ahi! Ma mi sono rotto tutto? Ho tutte queste fasciature addosso che ...»
«Te le ho fatte io. Ora stai fermo qui che c’è il medico che mi chiama nell’altra stanza. Controlla le tue lastre. Fermo qui e non ti muovere.»
“Mi ha lasciato solo, fasciato con le braccia dietro la schiena e le gambe strette l’una con l’altra che possono muoverle solo insieme. Comunque si prende cura di me e ci tiene. Sta consumando una bottiglia intera di quel prodotto sulle mie ferite, brucia da pazzi però. Eccola di nuovo! ”
«Cretino!»
«Ma non ho detto niente.»
«Ce l’ho col dottore.»
«Scusi, che ha detto?»
«Non capisce niente come tutti gli uomini. Stai buono adesso che ti devo togliere le bende, cosi poi sarai libero di andare in giro a farti male da solo.»
«Non servono allora.»
«Non servono secondo quel cretino di un medico.»
«Non è bravo?»
«E’ un maschio e quindi un cretino per definizione.»
«Secondo lei tutti i maschi sono cretini, anche suo marito?»
«Non sono sposata.»
«Cioè, volevo dire il suo fidanz…»
«Non sono fidanzata!»
«Strano, una bella ragazza come lei.»
«Lo vedi che siete tutti dei cretini?»
«Ma io non volevo offenderla, volevo dire che magari qualcuno diverso ci sarà pure, ahi, può fare un po’ più piano? Dicevo qualcuno con una sensibilità che, ahi! Che…»
«Gli uomini non capiscono una donna che non cerca protezione, ne hanno paura, non hanno sufficiente intelligenza e fantasia per uscire dagli schemi mentali da trogloditi che governano le loro menti. Una donna che prende l’iniziativa li disorienta. Una donna che sa quello che vuole e per ottenerlo è disposta ad imporsi, se necessario, li terrorizza. Vogliono avere loro la guida anche se non sanno dove andare. Io invece conosco i miei obiettivi e questo li fa sentire inferiori. Hai capito ora?»
«Si, signora, ahi!, cioè, ma possibile che nessuno abbia mai provato, ahi!…»
«Ci provano ma, appena capiscono, scappano, hanno paura gli idioti. E quindi adesso rivestiti e vattene pure tu.»
«Mi dimette?»
«E’ il medico che ti dimette, piccolino. Fosse per me ti curerei ancora.»
«Allora grazie, signora.»
«Giovanna.»
«Signora Giovanna.»
«Giovanna.»
«Si, Giovanna, bene… e comunque io credo che esistano uomini che non sarebbero terrorizzati da una donna che prende l’iniziativa, che accetterebbero anche di farsi guidare, che…»
«E che non avrebbero paura di soffrire?»
«Beh, certo in un rapporto a due c’è bisogno anche di saper soffrire.»
«E che saprebbero assecondare tutte le aspirazioni di una donna forte?»
«Certo, Giovanna, la comprensione dei desideri dell’altro è alla base di un rapporto sano e…»
«Tu credi eh?»
«Si io credo che…»
«E allora… fila!»
«…»
«Ho detto: VAI!»
«Va bene, arrivederci, Gi…eh, scusi, signora Giovanna.»
(continua)


(pubblicato in data 20 luglio 2009)

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