venerdì 21 maggio 2010

SCUSA, MA TI VOGLIO SPOSTARE di Ande Di Luna


Anna lo diceva sempre al suo spazzolino ogni mattina, mentre, tra il profumo, lo yogurt, lo specchietto e le chiavi della macchina, cercava di districarsi dalla trappola domestica che si ostinava a trattenerla dalla corsa al lavoro. Femminista. Postmoderna.
A volte dimenticava l'esordio e cancellava 'Scusa'. E intanto lui era finito in terra, primo di una scia di oggetti pronti a tracciare verso l'emancipazione il tragitto del nuovo giorno.
Le sette e mezza.
Via, una saetta, per non arrivare tardi, per non arrivare presto, a colpi di infrazione al Codice. Stradale, civile, penale. Subito una canzone ad aprire altri orizzonti, luoghi senza ostacoli, distanze prive di materia, fotografie tutte da comporre e tutte a colori. In un attimo, le nove. Radio Radicale in ufficio. Strano.
Le disse il capo che doveva partire, seguire altrove un nuovo progetto, per un po'. E sul lungofiume città sulle sponde al crocevia tra religioni più o meno laiche.
Non conosceva le lingue, non aveva forza abbastanza per la sua valigia, nemmeno avrebbe potuto difendersi, se si fosse trovata in difficoltà. Pensieri: tutti lì, dietro la pianta sempreverde sulla scrivania. Meglio tacere, restare a osservare quello stato di calma apparente in cui tutto sembrava possibile ad Anna, ai suoi movimenti misurati, ai passi sul ritmo della sua serenità. “Scusa, ma ti voglio scortare”, le avrebbe detto. Doveva, invece, tornare in sede. Senza di lei. Le dodici e mezza. In Italia. Le nove e mezzo. Alle...Mauritius, tanto per dirne una.
Prenotare il volo non stava a lei, la segreteria era molto efficiente. Un pranzo veloce a breve, per non appesantirsi. Studiare ancora un modo nuovo di ignorarsi tra i corridoi. Lavarsi i denti nel bagno aziendale.
“Scusa, ma ti voglio spostare”, disse Fabio alla foglia di insalata sbriciolata tra gli incisivi mostrandole, con aria minacciosa, il filo interdentale, ma pensava, in fondo, che era tutt'altro quel che voleva decollocare dal contesto genitale: il capo di Anna, per esempio, avrebbe voluto appenderlo sulla trave della gru più alta, vicina alla vetrata del grattacielo, durante uno di quei nubifragi che fanno piazza pulita di automobiliste e di bambini nei parchi sull'Appia, quando si abbattano sulla capitale facendo un ebbro slalom tra gli alberi; il capo del governo, per esempio, lui e tutto il suo stuolo indeterminato di popolo e di servi; il maestro della scuola di salsa, lui e quei suoi sculettamenti così gratuiti e graditi alle donne. Grrrrrrrrr.
Le diciassette. Anna aveva già spostato tutto. Ogni piano della sua libreria mentale vedeva già ogni nuova cosa al suo nuovo posto. Mancavano, intorno, solo il meridiano e il parallelo giusto. La destinazione, l'avrebbe saputa solo il lunedì. Il quotidiano in borsa pronto all'uso durante la fila alla cassa del supermercato. Strisce rosse, manchette, campagne di pubblicità sociale, una giornata internazionale celebrata come ogni anno. Qualche telefonata c'era stata, senza dubbio, spesso mentre guidava. Parole di troppo, manovre azzardate, affrettate, urla talvolta, oggetti volanti, spintoni. Una stabilità matronale le scuoteva costantemente ogni coriandolo di sé dentro l'invisibile, piccolo e dispari cerchio simbolico che portava ancora a futura memoria. Tina Modotti tra le pagine, pagine firmate ormai persino dai magistrati del Csm.
Le sei e un quarto, l'orario verbalizzato in calce alla denuncia. Lo stesso del volo che la segretaria le aveva prenotato per Port Saint-Louis, che coincidenza.
“Scusa, ti posso aiutare?”, le aveva domandato un tipo in aeroporto. E intanto la polis immaginaria si rifletteva nel suo sguardo senz'ombra, né lividi.
Più, mai.
Il suo corpo, la sua casa, la sua memoria, tutto il suo tempo, i libri, i film e la musica. Ma soprattutto lui. Era Fabio che voleva spostare.
Anna lo diceva sempre anche al suo spazzolino ogni mattina, mentre, tra il profumo, lo yogurt, lo specchiatto e le chiavi della vita, cercava di districarsi dalla trappola domestica che si ostinava a trattenerla dalla fuga dal delirio. Maschilista. Premoderno.
A volte dimenticava l'esordio e cancellava “Scusa”, ma era lui che voleva spostare. E intanto era finita in terra, la vita, ultima e prima d'una scia di briciole pronte a tracciare verso la prigionia il tragitto della schiavitù.
Le sette e mezza. Alle Mauritius, però.

4 commenti:

  1. complimenti per i riflessi, anna... :)

    RispondiElimina
  2. certo ero sintonizzata è stato facile ...
    consultavo il blog per vedere se c'erano nuovi contributi.
    =)

    RispondiElimina
  3. Ho preso il giornale.
    Bella pagina nel complesso.
    Bel racconto, moderno postfemminista =)
    bella illustrazione

    RispondiElimina