sabato 14 agosto 2010

L'ULTIMA ESTATE (Una Polaroid) di Naima

Ogni estate, da che ne ho memoria, i miei genitori affittavano una minuscola villetta al mare, sempre la stessa, per tutti gli anni della mia infanzia e oltre. Le famiglie che ogni anno ritrovavamo erano oramai parte di una grande tribù che si riuniva per quella che sembrava una grande migrazione rituale. Avevo molte amiche al villaggio e amavo giocare anche con i bambini. Soprattutto non vedevo l'ora di incontrare di nuovo Matteo, ma facevo di tutto perché nessuno lo immaginasse nemmeno lontanamente.
Come sempre, appena arrivati, non lasciavo ai miei nemmeno il tempo di scaricare i bagagli che già correvo come una capretta tra sassi e sterpi alla ricerca dei miei amici e col batticuore pregavo: “Fà che ci sia Matteo. Fà che ci sia Matteo”.
Erano tutti lì, come sempre; qualcuno sarebbe arrivato dopo, qualcuno sarebbe partito prima, ma c'erano tutti. E c'era Matteo. Allora tutto era perfetto.

Erano giornate meravigliose, in cui tutto quello che volevamo e dovevamo fare era lanciarci in corse sfrenate tra i campi di grano con le bici, sfide di nuoto, giochi sulla spiaggia, gavettoni e altri scherzi, qualche confidenza, qualche pettegolezzo. Unici obblighi: rientrare per l'ora dei pasti, rimettere a posto la cameretta prima di uscire la mattina e aiutare mamma a sparecchiare la tavola.

A me, oltre che giocare e chiacchierare con le amiche, piaceva giocare a pallavolo sulla spiaggia fino al tramonto o giocare con le biglie insieme ai maschietti.

Facevamo lunghi percorsi tortuosi scavati nella sabbia, compattavamo con acqua, pressando con le mani e le palette e ci divertivamo a creare difficoltà sempre più grandi, studiando curvature e pendenze del terreno come piccoli ingegneri.

Spesso giocavo con Matteo, andavamo proprio d'accordo e mi piaceva un sacco anche se era un po' paffuto: aveva bellissimi capelli neri tutti dritti, la pelle scura e occhi luminosi con un affascinante taglio all'insù. Ero pazza di lui... e visto che non si separava mai, devo supporre che anche lui lo fosse di me.

All'epoca avevo jeans sempre sbiaditi e consunti all'altezza delle ginocchia e se portavo i pantaloncini... erano le ginocchia ad essere sbucciate; avevo capelli lunghissimi e un po' selvaggi, la disperazione di mia madre che mi inseguiva spesso con nastri e forcine nel tentativo di domare loro... e me.

Una sera, durante una delle tante cene tra famiglie di vacanzieri, Matteo ed io ci trovammo soli sotto il pergolato della terrazza, nell'assordante concerto di grilli e cicale, mi rivolse la parola come se mi confidasse un segreto: “Io non vorrei mai crescere, vorrei che tutto restasse sempre così”. Non gli risposi, non lo capii: io, invece, non vedevo l'ora di sperimentare com'era diventare grandi!

Poi non ci pensammo più, troppo occupati a giocare tutto il giorno fino allo sfinimento. Che sensazione magnifica, la sera, sprofondare tra le lenzuola fresche, piombando immediatamente nel sonno... e la mattina si ricominciava carichi di energie.

Ma una mattina il mio risveglio fu diverso dal solito: nelle mutandine trovai una macchiolina rosa...: sapevo che presto sarebbe successo, qualche mi amica ci era già passata. Raggiunsi mia madre in cucina; devo esserle sembrata una sorta di fantasma, lì sulla soglia della porta, insolitamente immobile e silenziosa; all'inizio lei mi lancia qualche battuta scherzosa che non raccolgo, allora lei – come le mamme dei film – capisce tutto, mi mette a sedere e mi parla di quel che mi sta succedendo: non l'aveva mai fatto prima e tutto quel che sapevo, lo avevo appreso da amiche un po' più grandi. Piagnucolai: “Non potrò fare più nulla adesso!” Mi rimproverò con un sorriso canzonatorio stampato sulla faccia: “Non essere sciocca, potrai fare le stesse cose di sempre”.

Tutto sommato non mi piaceva più diventare grande: mi sentivo atterrata da una zavorra del peso di una tonnellata – come nei fumetti di Paperino – e sapevo che nulla sarebbe più stato lo stesso.

Quando uscii a giocare con gli altri... avevo il muso e non riuscii a comportarmi come al solito: tutto mi sembrava distante da quella che ero adesso. Alcune amiche capirono cosa mi era successo e si avvicinarono in vena di confidenze. Matteo venne verso di me e stranamente anche lui (siccome gli uomini non capiscono mai niente, mi sembrò eccezionale da parte sua) capì che qualcosa era cambiato, infatti non osò avvicinarsi come al solito, non ci fu nessun contatto, non mi trattò come se fossi un compagno di giochi ma mi chiese timidamente, a distanza, se mi andava di fare una partita a biglie... Mi sentivo come una lebbrosa. Ero furiosa e... prigioniera. Tuttavia accettai di sfidarlo, mi aggrappai alle consuetudini perché non mi sfuggisse tutto di mano, perché non cambiasse tutto così all'improvviso.

Cominciammo a giocare, non ero molto in vena ma mi difendevo bene... tuttavia non ero concentrata... Mentre la gara si faceva più avvincente, Matteo ed io ci trovammo testa a testa, sudati ed agguerriti, ma freddi come due grandi strateghi che dispieghino i loro eserciti per la battaglia finale... ed io, improvvisamente presa dallo sconforto, quasi gli gridai: “Hai ragione: nemmeno io voglio diventare grande! Non voglio che tutto questo cambi.” Mi guardò sorpreso e un po' assente: aveva già dimenticato? Ricominciammo subito a giocare e naturalmente vinse lui. Poi dimenticai le mie biglie in un cassetto, per sempre.

Da allora, tutto cambiò nelle nostre vite; quella fu l'ultima estate intensa e spensierata della mia infanzia... e come andarono le cose poi... credo che più o meno lo immaginerete.

(colonna sonora consigliata: Fearless – Pink Floyd e The last good day of the year - Cousteau)

8 commenti:

  1. grazie a te, Naima
    del racconto così delicato
    p.s.
    se vedi Paola
    falle i complimenti per il disegno... :)

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  2. mi piace questa cosa della colonna sonora consigliata

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  3. ...perchè questo blog è multimediale.
    Complimenti a Naima e a Paola

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  4. Non riesco a prescindere dalla musica!!! :D
    Purtroppo me ne accorgo solo rileggendolo ora: nel racconto ci sono delle ripetizioni, bisognava rendere i periodi più scorrevoli, poi mi sono immedesimata troppo nella ragazzina facendo parlare lei e non nella donna adulta che invece avrebbe dovuto ricordare e raccontare un episodio della sua infanzia guardando una fotografia. Più che un racconto, è la traccia di un racconto: spero che evochi lo stesso qualche bella sensazione ;)

    P.S.: Anna, ma io ti pensavo in viaggio verso il Sud!!!

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  5. Aldo, abbiamo commentato quasi nello stesso istante! :)

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  6. Vi ho fatto un regalino multimediale: se cliccate sui titoli dei brani si aprirà il link del rispettivo video su YouTube (vabbè, quello dei PF non si può considerare un video, è solo una foto e sono quasi tutti abbastanza bruttini da vedere: David Gilmour è il solo veramente bono e quindi lo mettevano sempre in primo piano :D :D)

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  7. @paola sono in zona ... belli collegamenti =)

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