sabato 12 marzo 2011

GRASSO BRUNO (parte 1 di 2) di Aristide Bellacicco

Karolus, un obeso ex - disegnatore di fumetti, durante gli ultimi mesi della sua vita abitò nella sacrestia della chiesa di Sant’Alberta della Misericordia, in via Lubecca.

Aveva una brandina sistemata accanto all’armadio dei paramenti e degli arredi sacri e poteva servirsi del bagno attiguo agli uffici parrocchiali. Era una sistemazione scomoda e quasi inverosimile, ma Karolus non se ne lamentava, perché gli era toccato assai di peggio. Per circa sei mesi era stato ospite non gradito dei vagoni della sotterranea, poi si era trasferito su remote panchine della stazione centrale e, per un certo periodo, aveva trascorso intere giornate a Villa Prussia, vagabondando di giorno e dormendo la notte su un improvvisato giaciglio di cartone.

Quella sacrestia offriva molti vantaggi a un uomo disposto ad accontentarsi di poco. Di notte era riscaldata, non ci veniva nessuno fino alle sette del mattino e, soprattutto, gli sportelli dell’armadio non erano mai chiusi a chiave. Quando il bisogno di bere lo svegliava in piena notte, Karolus poteva servirsi con discrezione del vino della messa, di cui c’erano sempre un paio di bottiglie sul ripiano più basso. Il pastore Grucio lasciava correre e persino il sacrestano, che vedeva Karolus come il fumo negli occhi, dopo un po’ aveva smesso di minacciarlo.

Alle sei e mezza del mattino Karolus si alzava, si lavava alla meglio senza spogliarsi e usciva attraversando la chiesa vuota. La regola era che non si facesse vedere fino all’ora di pranzo, quando mangiava qualcosa in piedi vicino alla brandina ripiegata e usava un paio di volte il gabinetto. Da quel momento, tornava solo verso le nove di sera, a funzioni concluse, e si metteva a dormire dopo aver ingoiato alla svelta un piatto di minestra o un panino che gli portava il sacrestano.

Ciononostante, non dimagriva. La sua enorme pancia globosa sembrava inattaccabile persino da quel regime fin troppo frugale e dalle lunghe ore che trascorreva camminando senza meta da un capo all’altro della città. Aveva raggiunto quel peso considerevole negli anni del successo e delle grandi mangiate e bevute con i colleghi e gli editori, quando il suo insaziabile appetito era diventato una leggenda, e poi era rimasto così a dispetto della rovina, dell’abbandono e del dolore.

Karolus era convinto che il grasso del suo corpo non avesse ormai nulla a che vedere con il cibo.

Mesi prima, su una rivista recuperata da un cestino della carta straccia, aveva appreso che nel corpo dei mammiferi esiste un tipo di grasso, chiamato “grasso bruno”, di cui si servono gli orsi e altri animali per sopravvivere durante il letargo. La cosa l’aveva molto incuriosito. Sebbene nella specie umana le riserve di grasso bruno siano ridotte a pochi residui , così diceva quell’articolo, cosa gli impediva di pensare che le sue traversie avessero provocato un sovvertimento metabolico tale da trasformare in durevole grasso bruno la spessa coltre adiposa che avvolgeva il suo addome?

Proprio così, aveva riflettuto Karolus con la rivista spiegazzata ancora in mano, io sono entrato in letargo tre anni fa, ho fatto un passo indietro nell’evoluzione e mi sono trasformato in un plantigrado o in una marmotta. Quel poco che mangio si converte in grasso bruno e rimane fisso al suo posto, mantenendo inalterato l’aspetto del mio corpo.

In effetti, l’intero andamento della sua vita sembrava confermare questa ipotesi.

In estate o in inverno, col sole o sotto la pioggia, Karolus passava le ore in un’infinita migrazione che aveva come unico scopo il procurarsi qualcosa da bere. Grazie alla carità del pastore Grucio, vestiva abiti appena meno che dignitosi, che però gli permettevano di entrare in un bar e di chiedere una grappa senza doversi piegare all’umiliazione di pagare in anticipo. Era solo un tipo male in arnese, come in città ce n’erano tanti. Quando mendicava, il suo atteggiamento spontaneamente distinto aveva un certo successo. Si avvicinava ai passanti con discrezione e gentilezza e diceva sempre la stessa frase:

‘Signore, mi perdoni. Non voglio importunarla. Lei non immagina quanto mi vergogni. Abbia pazienza e mi scusi. Grazie, grazie tante.’

Rimediava una decina di euro al giorno, che corrispondevano a sei bicchierini di grappa o a tre di wisky, a seconda dei bar. Per questo beveva quasi solo grappa, anche se preferiva lo scotch, di cui una volta era stato un notevole e pignolo intenditore.

Karolus conosceva a memoria i cinque o sei posti in cui era possibile ottenere un pasto caldo senza pagare. Nei primi tempi dopo il naufragio era andato spesso a sfamarsi in quei refettori dove suore e volontari distribuivano buon cibo in cambio di niente, e aveva addirittura pensato che sarebbe potuto andare avanti così per sempre. Naturalmente, lì si beveva solo acqua, e Karolus era disposto ad accettare questa inspiegabile violenza in ragione del fatto che chi non paga non ha diritto ad avere gusti o abitudini, è evidente. Ma una volta gli era capitato di trovarsi con il vassoio in mano davanti a un signore di mezza età che, maneggiando un bel mestolo nuovo, distribuiva maccheroni al sugo.

Era J.Stromm, il suo vecchio capo redattore. Si erano guardati negli occhi.

‘Karolus’ aveva mormorato Stromm ‘Karolus.’

Si era fermato col mestolo a mezz’aria.

Karolus gli aveva sorriso come niente fosse.

‘Stromm, che piacere. Ah, bene, vedo che hai deciso finalmente di salvarti l’anima. Ma che bello. Forza, dammi la pasta.’

Era andato a sedersi a un tavolo insieme a una mezza dozzina di signore e signori reduci da storie complicate e fallimentari, e lì era rimasto mezz’ora ad agitare la forchetta nel piatto senza infilzare nemmeno un maccherone. Nella scodella accanto, la carne e le patate si stavano freddando, al che il suo vicino di posto, un tale di una quarantina d’anni vestito con un eskimo e con occhiali da presbite, gli aveva detto che, se proprio non aveva fame, forse poteva rimediare lui, sempre che fosse d’accordo, è chiaro. Le persone che hanno fame senza che questa sia per loro una tradizione di famiglia tendono ad essere molto gentili, di solito, e Karolus gli aveva detto ‘prego, con piacere’, e se n’ era andato.

Non che non avesse fame (a quel tempo ne aveva sempre) ma non se la sentiva di mangiare il cibo servitogli da Stromm. Aveva vinto la tentazione di tornare a chiedergli come mai le avventure di Marta Diotallevi fossero poi state pubblicate a firma di quell’incompetente di F. (Marta, l’ultima e più bella invenzione del suo libero spirito di scrittore di storie a fumetti) ed era uscito per la strada pieno di idee di vendetta. Poi aveva mendicato per quasi un’ora con notevole fortuna, raggranellando il necessario per sei wisky, quella volta. Li aveva ordinati e bevuti in altrettanti bar, uno dopo l’altro, percorrendo lunghi tratti di marciapiede allo scopo distanziare i luoghi del godimento perché gli apparissero più desiderabili. Due giorni dopo aveva trovato quella rivista che parlava del grasso bruno e la sua visione della vita era profondamente cambiata.

Per prima cosa, aveva smesso di preoccuparsi del cibo. Ne ho abbastanza di mio, aveva pensato, sta qui, sulla pancia, come una fortificazione. Non devo più chiedere, e se sapessi come dividerlo fra gli altri, potrei addirittura donare. Grasso bruno, solido, a lenta consumazione. Altro che i maccheroni di Stromm.

Aveva trascorso due settimane solo bevendo e ricapitolando a memoria le avventure di Marta Diotallevi. Era addirittura riuscito ad inventarne altre due, straordinarie, ‘povero Stromm’ aveva pensato. Poi era andato a Villa Prussia. Era novembre. Da un cassonetto nelle vicinanze aveva estratto un paio di cartoni da imballaggio per televisori e ne aveva lacerato con attenzione i bordi per ottenerne due superfici abbastanza ampie da servirgli come letto una volta affiancate. In un supermercato si era procurato un rotolo di nastro adesivo col quale aveva unito i cartoni nel senso della lunghezza. Adagiato lì sopra, in angoli lontani e poco frequentati della villa, aveva dormito per notti e notti, rifugiandosi talvolta per il freddo nelle rovine di un padiglione abbandonato, finche una mattina il guardiano l’aveva trovato. Era venuta l’ambulanza, ma Karolus aveva rifiutato di farsi portare in ospedale. ‘Ho il grasso bruno’ aveva detto ‘è tutto a posto.’

Dietro l’ambulanza era arrivata la polizia, c’era stata qualche minaccia, gli infermieri insistevano insieme al guardiano (non può stare qui, ci vengono i bambini, questo ci resta secco, e se lo trovano i bambini?), ma i poliziotti sbadigliavano e così l’avevano lasciato andare via.

(continua)

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