venerdì 10 settembre 2010

BRUNO BASTA, LA VICENDA UMANA DEL PADRE DELL’ASTRATTISMO EPICO di Piermario De Dominicis

Sembra quasi impossibile che Bruno Basta sia riaffiorato all’attenzione del consesso umano dopo una vita nella quale ha dato così scarse notizie di sé, tanto che la sua riservatezza ha rivestito la sua esistenza e la sua opera di un alone di leggenda. Ma forse la sua decisione di ricomparire proprio a Latina, una città che di solito considera la Fiera della Lestra la punta massima della propria elaborazione culturale, conferma che la voglia di celarsi di Basta, coerente fino in fondo con la sua cupio dissolvi, la voglia mai trattenuta di scomparire. Trasferendosi a Latina, come con un colpo di magia riesce perfettamente a svanire, come capita a tutto quelli che, con l’eccezione ostinata del nostro amico Pennacchi, operano qui nel campo della produzione culturale. Tracciare una sia pur breve biografia dell’artista è assai arduo perché la cortina di mistero eretta da Bruno Basta sul suo privato è così fitta che lui stesso ne è totalmente all’oscuro. Si sa della sua nascita, si dà per certo che sia avvenuta perché di colpo eccolo lì: prima non c’era… e dunque deve essere nato. I genitori Bertrando e Ora Basta nata Berlusconi (Ora Basta Berlusconi) erano due illustratori di libri per daltonici, apprezzati per le straordinarie capacità, due virtuosi del disegno. La coppia considerò del tutto naturale riversare il proprio sapere sul figlio, perché stabilisse la continuità di un mestiere così prestigioso. La delusione dei genitori fu cocente quando gli fu chiaro che il figlio con le matite in pugno non sapeva proprio cosa fare, almeno prima di aver scoperto che piazzarle negli occhi dei compagni di asilo gli garantiva una qualche cinica soddisfazione. Furono necessari anni per convincere il bambino che conveniva poggiare la punta della matita sul foglio e non il sedere tappato della medesima, per veder comparire qualche segno. Comunque sia la prima opera conosciuta di Bruno Basta fu uno scarabocchione su sfondo rosso che lui stesso intitolò “ioqueliliamazo” dedicato ai genitori. Trascorrono da quel momento anni di cui non abbiamo notizie significative, avvolti come spesso capiterà durante la vita dell’artista da fitto mistero. Ricomparirà di botto a Parigi in uno studiolo di Rue de Bucy che divide con un tatuatore di 120 kg. L’esiguità degli spazi e la cospicua presenza fisica del tatuatore (pessimo carattere peraltro) causeranno continue frizioni tra i due e diversi ricoveri d’urgenza per Basta, che pur di non dare fastidio all’energumeno limitò il suo campo d’azione alle miniature. Disgraziatamente la sua incapacità tecnica perdurava così che le sue piccole opere del tutto incomprensibili, finivano per lo più per ristagnare sul fondo del water della minuscola toilette dello studio, perennemente guasta. Le ristrettezze economiche lo angustiavano e i modesti assegni che i genitori gli inviavano, pur splendidamente vergati, non gli garantivano una dieta che andasse oltre sofficini scaduti di capitan Findus, così scaduti che il buon capitano appariva invecchiato malamente sulle confezioni ed il suo sorriso bonario, mancandogli diversi denti, si volgeva in un ghigno perfido.
Fu solo dopo una notte di tormenti, trascorsa a discutere col suo stomaco su chi dovesse dimettersi prima, che gli giunse la folgorazione: visto che il figurativo risultava impraticabile si sarebbe dato all’astrattismo. Il resto, per sommi capi, è storia conosciuta. Con la complicità, nel tempo divenuta amicizia, con un gallerista cieco, intraprese una sua via artistica che da alcuni critici alcolizzati venne definita “Astrattismo Epico” .
Il successo improvviso e clamoroso portò le quotazioni delle sue opere oltre l’inimmaginabile. Basta, che era tuttavia rimasto il ragazzo semplice di una volta, continuava ad essere prigioniero di angosciosi dilemmi: “i miei calzini fucsia sono compatibili con il mio jet rosa o sarebbe meglio quello blù?” dopo una iniziale e comprensibile euforia l’artista sentì di dover proseguire nello sviluppo del suo percorso. Se ne presero le tracce. Si seppe poi che era riparato a Poitiers e che nella brusca necessità di occultarsi al mondo, aveva vissuto due anni in una cabina telefonica, dove si era sistemato discretamente e non aveva altro affanno che dire ogni due minuti ”occupato!” a chi tentava di telefonare. Col tempo però la fila formatasi fuori della sua eccentrica abitazione, si era fatta così chilometrica da togliergli la tranquillità. Tornò quindi in Italia e fu a Milano che nell’intento di produrre un tipo di arte totalmente naturale gli venne in mente di lavorare sui materiali. Decise di produrre in proprio i colori con i quali dipingeva . E’ l’inizio di ciò che dagli stessi critici di un tempo sempre più divorati dall’etilismo, venne definito “Astrattismo dietetico” o “Astrattismo gastrico” o anche “Astrattismo retto”.
L’alimentazione decise i toni. Ci fu un periodo orange favorito da una dieta di carote così radicale che alla fine Basta era in grado di vedere i tarli delle sedie e di conversare con loro. A questo seguì il periodo Verde (verdura a volontà) e il più cupo di tutti, (seppie come piovesse).
Le sue mostre divennero eventi anche se la loro durata nel tempo era per forza limitata. Lo spingere il fisico, in nome dell’arte, oltre ogni limite conosciuto gli fu alla fine fatale.
Gli divenne difficile digerire anche l’acqua per cui iniziò l’ennesimo periodo di buio. La notorietà lo perseguitava vendeva tutto ciò che produceva, alla faccia di qualche critico livoroso che con scarsa originalità aveva definito le sue opere “quei quadri di merda” si sentiva assediato e ancora una volta sparsi. Fino all’inaspettata rinascita odierna. Mutato nell’aspetto (per modestia ha rinunciato ai capelli) ma simile a se stesso nell’inesausta ricerca di sperimentare, trova nella nostra città l’humus ideale per farlo non destando la minima attenzione. E’ ciò a cui ha sempre teso.



ASTRATTISMO EPICO, SINESTESIA ESTREMA di Pasquale Bruno Di Marco

Lo stesso BB, padre dell’Astrattismo epico o meglio ancora organico, come lui stesso lo ha definito, ci ha parlato del legame astrale che pare abbia con quello che possiamo definire il suo alter-ego, Stelak, artista o gruppo di artisti – non è facilissimo capire i borbottii del maestro dopo il decimo bicchierino di grappa - paleolitici nel periodo di passaggio tra matriarcato e patriarcato. Tra i fumi dell’alcol BB è solito dipingere e nello stesso tempo, tra un’invocazione ad Aua, Wigga e Mestwina e un borborigmo digestivo, evocare la storia di Stelak, la cui vocazione artistica passa attraverso la sperimentazione musicale, frustrata a suon di clavate, alla sperimentazione nelle arti visive. La totale mancanza di qualunque talento nel disegno non impedì a Stelak di sperimentarsi nei graffiti, ovviando all’inizio con una sorte di proto-stencil, nella cui fase arcaica, animali di piccola taglia venivano sbattuti contro la parete rocciosa. Da quello che BB ha desunto attraverso il suo legame ancestrale, tale tecnica fu abbandonata per un eccesso di cromatismo rosso. Nella fase successiva si rese necessario un connubio artistico con un altro artista che teneva fermo il soggetto mentre l’altro ne seguiva i contorni con un bastoncino annerito. Anche questa tecnica fu abbandonata quando i committenti cominciarono a chiedere ritratti di serpenti a sonagli e cinghiali.
Nonostante gli insuccessi iniziali l’artista paleolitico, alter ego di BB, non abbandonò l’idea di eseguire graffiti tentando composizione varie. Ma ogni volta il suo tentativo di ritrarre un animale lasciava perplessi gli osservatori che non riuscivano a distinguere i suoi elefanti dalle sue anatre. Quello che però suscitava la più notevole ammirazione erano i colori che Stelak realizzava con tecniche misteriose. La frustrazione per la totale negazione per il disegno veniva ampiamente controbilanciata dal virtuosismo cromatico, che Stelak produceva organicamente seguendo diete particolari. Nel riproporre questa forma d’arte rivissuta attraverso il legame astrale BB ripercorre l’astrattismo di necessità, determinata dall’assoluta incompetenza nel figurativo che, proprio nella testardaggine del perenne tentativo di riprodurre forme riconoscibili senza mai riuscirvi, trova il suo carattere epico. La straordinaria varietà della gamma cromatica, anch’essa in qualche modo riconducibile alla necessità di produrre in proprio i colori attraverso un’attenta e selettiva scelta delle pietanze, hanno spinto altri critici a parlare di “Astrattismo Dietetico” o “Organico” mettendo l’accento su come la visione diretta del cromatismo Bastiano, con tutta la gamma di nuance sperimentate nelle varie versioni stagionali, induca fenomeni di sinestesia estrema in chi contempli l’opera appena prodotta. Lo spettatore lentamente, ma inesorabilmente, perde il contatto con la realtà ed è indotto ad entrare in uno stato di estasi o di demenza, poiché tutti i criteri tradizionali, visivi e olfattivi, sono rimessi in discussione. Tali opere hanno insite una portata di avventura e di azzardo che è impossibile prevedere tutte le possibili reazioni. Con l’andar del tempo la forza di rottura tende ad attenuarsi evaporando l’effetto di stravolgimento sensoriale, ma l’esperienza visiva rimane impressa nell’aspetto più profondo della nostra anima di fruitori dell’arte in tutte le sue forme, suoni e odori.

1 commento:

  1. Questi divertissement sono stati scritti in occasione del vernissage ( sescrivo un'altra parola in francese mi si inceppa la tastiera) di Bruno Basta - un gioco nato in libreria che ha avuto un risvolto clamoroso rispetto alle nostre aspettative - che quel giorno venne inerpretato da Edoardo che rpesentava le sie opere e, con molto spirito, si è prestato allo scherzo. l'immagine qui sopra invece è mia. Al giornale è stato inviato solo il pezzo di Piermario per questioni di spazio.

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