giovedì 29 luglio 2010

VOCE DEI VERBI di Carlo Sperduti

Non riesco ancora a credere, a distanza di anni, di averla fatta franca. E soprattutto di averla fatta franca in quel modo.
Il tramonto era già in stato avanzato, in cielo non c’era alcuna traccia di nuvole. Avevo guidato quasi ininterrottamente per più di ventiquattrore ed avevo mangiato e bevuto poco e niente. Coi crampi allo stomaco, ero allo stremo delle forze. Ma non erano la fame e la sete a preoccuparmi maggiormente.
Mi ero appena lasciato alle spalle il cadavere di un poliziotto. Rosso di sera, bel tempo: si spara.
Non avevo potuto evitarlo: quel figlio di cane m’aveva riconosciuto. L’avevo capito subito dal modo in cui aveva preso a squadrarmi quando tirai giù il vetro del finestrino.
Evidentemente la mia foto aveva già fatto il giro di tutte le stazioni di polizia dello stato, ma per mia fortuna quello non si poteva certo definire un gran tiratore. Ciò non era bastato a evitarmi il fastidio di una pallottola nella spalla destra, quando avevo tentato la fuga in seguito alla richiesta di patente e libretto…


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martedì 27 luglio 2010

RIFLESSI di Aldo Ardetti

Ne ho viste e ascoltate di storie. Non sempre le ho sentite raccontare, molte le ho interpretate dalle facce, ancor più dagli occhi: dicono che siano l’espressione dell’anima. Ho capito che anche altri hanno voluto immaginare mondi di meraviglie, vedere quello che volevano vedere.

Conosco il cosmo umano nell’esempio di un piccolo mondo, quello della scala di un condominio. Lo vedo nei dettagli come un capello fuori posto, un pulsante che apre all’aria fresca o alla calda luce, fino al riposo della notte se si esclude qualche turnista, amanti, i rientri di giovani ritardatari e all’alba giovani prostitute. Alla nascita del giorno il buongiorno col sorriso di una giovane mamma e il suo bambino che crede di fare linguacce solo a se stesso: all’andata e al ritorno, fino al proprio pianerottolo: ognuno capolinea di qualcuno. Quanta gente transita! Impaziente con mille maschere, mille espressioni. Occhi che sbirciano epidermidi e stoffe, che scrutano occhi, il sopraggiungere delle rughe – come anelli di accrescimento nella sezione trasversale dei fusti degli alberi – testimonianze di esperienza. Pose vanitose prima di avviarsi ad affrontare la routine nel labirinto dei soliti luoghi. Smorfie di labbra che generano ilarità e pose intime da star.
In solitudine si riesce facilmente ad essere veri, ad essere se stessi. Dal viso proiettano la loro anima, si legge come affronteranno il giorno, se ne misura quasi la forza interiore del momento.

C’è chi perde qualcosa e chi la… raccoglie. Qualcuno crea cortine di fumo e chi lascia tracce di sé creando miscele di profumi.
I condomini sono affluenti di un oceano umano. Sono belli perché, come dice il luogo comune, varii.

Oggi è una bella giornata. Con il bel tempo la gente è invogliata ad uscire dopo aver visto il sosia riflesso. Usciti di casa, nel breve tragitto, controllano ancora ogni piega. Tanta luce nell’aria che avverto, seppur in maniera fugace, ogni volta che… incontro qualcuno. E' un'aria che respiro da anni e che assaporo a seconda del giorno o della notte, della gente che sembra tutta uguale perché, quando va di fretta, non lascia impressioni. Nel loro andirivieni vivo di stupore, il dolce e amaro degli umori, degli stati d'animo. Le parole spesso farcite di assurdità, e non solo. Aromi e profumi mentre ascolto storie a segmenti e, per questo, mi rimane la ovvia curiosità o la tristezza quando non si tratta di storie di ordinaria normalità o di felicità:

“Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio. ....” *

Oppure una storia non compresa o non conclusa eguale a una vita spezzata che lascia sospesa la fantasia.
E' un caleidoscopio i cui colori sono testimoni delle situazioni umane. Colori che rappresentano il momento della singola vita.

Anche la signora Lia regalava un sorriso a tutta bocca. Mi è dispiaciuto quando è andata via: l’ho appena intravista mentre scendeva le scale. L’hanno fatta scendere portandola in spalla: per l’ultima volta, per l’ultimo viaggio. Chissà se si sarà sentita una regina. Era una bella donna.

In un angolo mi si è tolto del metallo. Magari nessuno se ne è accorto e spero che non mi sostituiscano presto. Dopo tanti anni mi sono affezionato a questo luogo anche se non tutte le facce che transitano mi sono simpatiche.
La mia vita finirà con un rimpianto, non aver conosciuto questa città ma solo averne sentito tanto parlare. Questa città caput mundi che chiamano eterna, che ho potuto soltanto immaginare e, da qualcuno, canticchiare la stupida di sera, la ruffiana, la città puttana. I resoconti degli incontri altrui come le lunghe passeggiate e le visite ai luoghi. Assaporare - per un attimo - il dolce o l’amaro del mondo metropolitano. Girandole della vita che negli anni sono state ubriacatura d’amore e di passione.
In questa mia casa è tutto un presente e... un passato. Miei compagni sono stati protagonisti di tante storie umane, altri hanno abitato in case lussuose come ho sentito dire quando sono nato, nello stesso posto, insieme ad altri.
Vedo la vita degli altri come in un teatro, davanti e dietro a queste porticine mobili che fanno da sipario. Una rappresentazione continua con circolarità casuale, nonostante tutto scorra veloce, come le parole, come il tempo dell’esistenza.

* Primi incontri (Pervye svidanija, in A. A. Tarkovskij, Poesie scelte , Milano 1989), traduzione di G. Zappi

mercoledì 14 luglio 2010

INTOLLERANZA di Daniela Rindi

-Avete pane azzimo?- L’inserviente mi guarda perplessa, -no, non è il nome di un animale, è un pane senza lievito, se fosse ebrea o intollerante come me, lo saprebbe!-. –No, non l’abbiamo!-, risponde scocciata, evidentemente non ebrea. Esco e riprendo la mia ricerca, -non si trova un cazzo in questa cittadina di merda!- penso tra me e me educatamente. Un grosso cane randagio mi guarda e sbadiglia, -si lo so, è più facile vivere da cani, che non avere problemi con i lieviti- puntualizzo al rognoso quadrupede.

Mi sa che anche oggi mi tocca saltare il pranzo. Non ho tempo per tornare a casa. Mi mette tristezza girare questa città, perché non c’è niente di bello da vedere. I negozi sono pochi e le vetrine stracolme di vestiti ordinari e volgari, non c’è illuminazione che metta allegria, a guardare le facciate delle case sembra di scorrere il museo degli orrori. Ogni palazzotto è decorato e imbellito da figure diverse, putti rosei o nanetti variopinti, colonne corinzie, finti architravi, una follia, un insulto all’arte e all’architettura! Eppure gli abitanti ne vanno orgogliosi, ma fanno male, sono quasi meglio le costruzioni anonime e squadrate di Mussolini, almeno sono coerenti.

Non parliamo degli abitanti…sembra che la bruttezza si sia data appuntamento in questo luogo. Va bene essere zotici, non avere cultura, educazione perché la maggior parte è povera gente, ma essere anche brutti no! Eppure a pochi chilometri da qui, hanno avuto i natali Manuela Arcuri, Tiziano Ferro! Mi siedo su una panchina al sole e faccio un gioco: apro e chiudo gli occhi facendo cadere lo sguardo sulla prima persona che passa…mai una bella faccia, non è possibile! E’ proprio il paese degli orchi. Alla scuola materna di mia figlia c’è una bambina, che tutte le volte che guardo mi viene da sorridere, assomiglia troppo a Fiona, la moglie di Shrek.

Ci rinuncio e continuo la mia marcia alla ricerca di qualcosa di commestibile, che non sia vietato. Da quando ho questo problema intestinale nutrirmi è diventato un inferno, peggio che fare il giro d’Italia in bicicletta. Troppi divieti, che paradossalmente mi hanno fatto pure ingrassare. Ma non mi devo lamentare, devo ricordarmi che c’è sempre qualcuno che sta peggio di me e devo rispettarlo, non lagnando inutilmente.

Entro in un alimentari pieno di gente, al banco c’è da prendere il numeretto, solo che me n’accorgo solo dopo dieci minuti. Quando sta per toccare a me, perché ho contato i presenti, una signora allunga il braccio sul bancone e con il numero novantasei fa il suo ordine. Io reclamo, -Lei signora è dopo di me!- -Ma io ho il novantasei, prima c’era il novantacinque e dopo di me il novantasette!-. Non fa una piega, conosce la numerazione, almeno quella da uno a cento. Non so se ritirarmi educatamente o mollarle un calcio negli stinchi e un cazzotto nello stomaco. Decido di non comprare la bresaola, alimento permesso, ma tanto non ho il pane azzimo, ed esco.

Forse faccio ancora in tempo a passare in posta, devo pagare la bolletta della luce. Davanti alla macchinetta dell’emissione dei biglietti pigio il mio tasto, -pagamento utenze- e una scia di foglietti esce ribelle da quella bocca. Completamente avvolta, scelgo il numero più basso, il centouno, conosco la numerazione, ma io da cento in su e mi metto in fila.

Ho tempo a sufficienza per guardarmi intorno, non c’è modo, sono tutti brutti. Dopo una fila interminabile che mi ha messo anche un po’ fame, tocca a me. La ragazza dietro al vetro mi fa degli strani cenni, io urlo –Ehhh?.. Non sento!-, -Non si accettano più numeri dal cento in poi!-. –Cosa?, ma se sono stata in fila per più di un ora, la macchinetta mi ha consegnato il numero centouno!-. –Mi spiace è la prassi, dopo il cento non operiamo più, poi c’è l’avviso attaccato fuori!-. La rabbia sta prendendo il sopravvento, devo decidere se andarmene dimessamente o afferrare la ragazza per il collo, e strangolarla dalla piccola fessura. Decido di evacuare la zona, tanto la bolletta può aspettare, esco.

Sono nuovamente per strada, oramai non ho più speranze di trovare il pane azzimo. Entro in una rosticceria e mi compro: due supplì, due arancini, tre fiori di zucca fritti e tre filetti di baccalà…al diavolo l’intolleranza!

sabato 10 luglio 2010

PALCHINPARCO MON AMOUR di BdM

E’ il giorno prima del gran giorno.
L’attività per i preparativi ferve e i membri del FalSTAFF sudano sotto il sole e sotto la direzione di Daniela che, sorridendo, impartisce ordini. Paolo allunga i cavi per l’alimentazione elettrica dal palco alla console. Carlo ricontrolla la scaletta. Franca prepara i giochi per i bambini consultando l’ampia bibliografia a disposizione. Leonardo, arrampicato su un albero, monta lo striscione. Gabriele trasporta cose varie nonostante il dito ingessato. Laura prepara le schede per la catalogazione degli artisti. Bruno si aggira nel parco con espressione concentrata ed indaffarata.
Verso sera qualche ospite comincia già ad arrivare, dormiranno qui per essere pronti domani. Arriva anche Eugenio carico di attrezzature varie, con tanto di cuscino personalizzato. Peccato che abbia dimenticato il pigiama. No problem, dormirà con un lenzuolo avvolto a mo’ di toga con cui si aggira la sera da una stanza all’altra della casa di Daniela con ammirevole nonchalance. La notte trascorre tranquilla, anche se sono pochi gli emuli del principe di Condè di manzoniana memoria e spesso ci si ritrova in cucina a chiacchierare. Paolo ne approfitta per passare due prese in più anche lì, buone per preparare la colazione.
L’alba radiosa dell’indomani è la promessa di un giorno memorabile.
Ultimi ritocchi e prime accoglienze.
Daniela, vestita in perfetto stile “casa nella prateria” gira distribuendo altri ordini e altri sorrisi. Il parcheggio, sotto la direzione del dito inflessibile e ingessato di Gabriele, comincia a riempirsi, mentre le squadre di recupero degli ospiti dispersi per la campagna romana sono in allerta. Paolo allunga altri cavi per alimentare le varie postazioni. Franca prepara palloncini e giochi vari. La scaletta viene rivista ancora per nuove esigenze appena comunicate. Leonardo continua ad arrampicarsi su alberi appendendo cartelli ed avvisi vari. Laura cataloga anche gli ospiti accompagnatori. Bruno dovrebbe pulire i bagni ma, con espressione seria e indaffarata, si ricorda che è allergico proprio a quei prodotti che si usano nei bagni chimici.
Finalmente si comincia sotto il sole di mezzodì di un luglio felice di essere il mese più caldo dell’anno. Le performance si susseguono. Tutto bene, pare. Paolo, intanto, continua a tendere cavi, ogni cespuglio deve avere il suo punto luce e la sua presa per ricaricare telefonini. Franca insegue i bambini proponendo giochi vari, ma quelli sono interessati solo a fare gavettoni con i palloncini e tirarseli addosso. Intanto i pittori espongono e dipingono, i cantanti cantano, i poeti problematizzano. Richiesta di modificare la scaletta. Posticipare perché all’ora prevista il sole illuminerebbe il poeta performer dal lato sbagliato. In alternativa ruotare il palco. Carlo annuisce senza espressione. Un altro chiede di poter leggere tutto il suo poema (480 pagine!) perché solo così se ne capirebbe la grandezza. Daniela gli sorride amabile mentre gli porge un caffè pieno di sonnifero. Leonardo, da sopra l’albero dove sta appendendo l’ennesimo cartello, si accorge che Gabriele, oltre al dito ingessato, presenta una leggera zoppìa, ma quello fa segno che tutto è sotto controllo. Laura, intanto, cataloga anche gli animali presenti. Bruno si aggira per il parco con l’espressione sempre più indaffarata, anche se nessuno ha capito cosa stia facendo esattamente.
Carlo, dovendo modificare per l’ennesima volta la scaletta, ha deciso di scriverla in endecasillabi perfetti per poi inserirla nella raccolta “A luglio, di sabato si va necessariamente al mare!” di prossima uscita.
Paolo sta portando cavi elettrici anche a casa dei vicini, distante due chilometri, non si sa mai. Leonardo sopra l’ennesimo albero grida qualcosa a Gabriele, ma quello gli fa segno che non riesce a sentirlo perché ha cominciato ad accusare un leggero abbassamento delle facoltà uditive ma, tranquillo, sicuramente è una cosa transitoria, almeno spera. Franca, completamente fradicia, mormora qualcosa a proposito di Erode. Meglio non indagare. Daniela sorride ancora. Il dubbio viene. Non è che sia una semiparesi facciale?
Finalmente sera, poi notte. Ultime esibizioni, ultimi applausi.
Il FalSTAFF si riunisce a godersi il fresco e la stanchezza satolla di soddisfazione. Carlo ne approfitta per recitare a voce alta la versione in versi della scaletta appena composta scatenando l’entusiasmo ammirato di tutti, anche di Gabriele, nonostante abbia cominciato ad accusare anche una leggera forma di lombosciatalgia, e di Leonardo che orami usa le funi come liane spostandosi da un albero all’altro. Bruno giace su una sedia con espressione di chi ha passato tutta la giornata impegnato a fare la faccia concentrata ed indaffarata e la cosa ha consumato tutte le sue energie. Paolo cerca di convincere una delle espositrici attardatasi che starebbe benissimo con dei cavi elettrici avvolti intorno al corpo e delle prese a mo’ di orecchini. Laura sta catalogando tutte le piante e tutti gli insetti presenti nel parco. Franca infila spilloni in pupazzi con sembianze di fanciulli recitando strani mantra in lingue sconosciute.
Tutto è andato bene: siamo sopravvissuti. E’ l’ora del riposo.

domenica 4 luglio 2010

COME IN UNO SPECCHIO di Naima


Laura sale in auto, come ogni mattina, per andare al lavoro. Ogni giorno compie quasi le stesse azioni: attraversa di corsa il cortile del parcheggio condominiale perché ha sempre qualche minuto di ritardo, infila rapida le chiavi nel cruscotto, mette in moto e poi in retromarcia fa scivolare via, veloce, l'auto dal suo posto; mentre guarda nello specchietto retrovisore inforca gli occhiali da sole, accende la radio e riparte.
Durante il viaggio si arrabbia perché non trova una stazione radio dove trasmettano della musica decente: tutta pubblicità, chiacchiere inutili... Si diverte a pensare ad un'altra donna che compie le stesse azioni che compie lei ogni giorno, nello stesso tempo ma con esiti diversi.
Allora questa è la storia di due donne, Laura A e Laura B. Le due donne vivono nella stessa città, fanno lo stesso lavoro sebbene in due aziende diverse, hanno scelto la stessa auto, hanno lo stesso piccolo neo sul naso, gli stessi piedi delicati, così come gli occhi grandi e scuri; entrambe hanno pianto guardando Holly Golightly che cercava il Gatto sotto la pioggia, riso per le battute di Flavio Oreglio, letto "L'insostenibile leggerezza dell'essere"; da bambine hanno sognato di diventare come Carla Fracci; tutt'e due hanno un uomo accanto e qualche corteggiatore; qualche segreto, qualche dolore...
Torniamo indietro a quella mattina: Laura A e Laura B fanno uscire l'auto dal parcheggio condominiale in una rapida retromarcia, inforcano gli occhiali da sole; mentre infilano la cintura di sicurezza con una mano, con l'altra accendono la radio: durante il viaggio Laura A non riesce a trovare una stazione che trasmetta musica decente; durante il percorso Laura B trova subito una stazione che trasmette uno dei brani che le piace ascoltare in questo momento - "Si tu no vuelves" Di Miguel Bosè, in una nuova versione cantata in coppia con Shakira - e questo le fa pensare che è proprio un bel modo di cominciare la giornata; Laura A ha fatto lo slalom tra la pubblicità di tutte le stazioni radio, alla fine si accontenta di ascoltare l'oroscopo di Branko e le stelle - che tra l'altro detesta - ed immagina la vita di un'altra Laura che al primo colpo trova la stazione radio che le piace, il lavoro che la gratifica, l'uomo che la fa sentire amata, realizza i suoi sogni...Laura B nel ritenersi soddisfatta di se, prova ad immaginare come sarebbe diventata se non avesse trovato sempre al primo colpo la radio che le piace, se non avesse avuto la fortuna di avere accanto un uomo che l'ama ancora come il primo giorno, se non facesse un lavoro che la gratifica, se non avesse realizzato i suoi sogni...
Le due Mercedes Classe A sono una di fronte all'altra al semaforo rosso. Quando scatta il verde sfrecciano l'una accanto all'altra: Laura A e Laura B incrociano gli sguardi, qualcosa di subliminale attraversa il loro cervello, una sensazione familiare... ma resta a livello incosciente. La giornata di ognuna scorre come sempre, come ogni altra giornata della loro vita...