venerdì 28 gennaio 2011

CIME (DI RAPA) TEMPESTOSE di Daniela Rindi

II puntata

Era una notte buia e tempestosa…

E così Catherine si ritrova da sola al buio in salotto, lei che pensava di distrarsi, di evadere dalla vita cittadina, si trova a letto come se ci fosse il coprifuoco! E senza neanche vedere Carosello. Decide di prendere il libro, in fondo se non legge in questa circostanza Anna Karenina, rischia seriamente di diventare carta da riciclo, il libro naturalmente. In assenza d’alternative valide si mette il pigiama e s’infila sotto le coperte, quando sente di avere i piedi ghiacciati e si accorge quindi della mancanza di riscaldamento. Solo un camino spento e una stufa a carbone in via d’estinzione. La nottata si fa interessante.

Ma dai Catherine, non sarà un po’ di freddo a spaventarti!

Inizia a leggere, ma esattamente quando Sergei va a teatro, saranno le lunghe descrizioni degli abiti, dei gioielli, dei ricami, dei colori della pelle, del broccato del tendaggio, dei pomelli della carrozza, Catherine si addormenta profondamente, senza accorgersi del temporale.
La sveglia di soprassalto un rumore di mobili, uno strusciare, uno sbattere di legni… pum, pum, sdeng, sdeng! Catherine si alza dal letto e accende la luce, è Jack il cane, uno splendido esemplare di beagle che invece di andare a caccia di volpi se ne sta in piedi attaccato al termosifone cercando di cambiare l’arredamento della casa. Spaventato dal temporale, spinge la cuccia in lungo e in largo, s’avventa contro la pendola rimanendo strozzato dal guinzaglio, sposta la poltrona, addenta il tavolino. Catherine cerca di tranquillizzarlo con qualche carezza e lui si placa, tornando alla cuccia. Catherine riprova a dormire. Dopo una mezz’ora ricomincia il circo, accende la luce e ancora il cane salito a quattro zampe sul tavolino, a questo punto impiccato, la sta guardando con occhi di fuori che sembrano dirle “aiuto, posso dormire con te?”. Catherine incavolata s’avvicina a Jack, allontana la poltrona, il tavolino, la pendola e gli toglie la cuccia da sotto le chiappe lasciandolo a dormire al freddo sul pavimento. Annientato il cane, Catherine cerca di riaddormentarsi, quando un verso gutturale proveniente da sotto il letto le fa spalancare gli occhi... augh... augh…coff…coff, ma non erano gli indiani. Catherine butta giù la testa, in una posizione plastica degna della migliore contorsionista e vede il povero gatto indemoniato con gli occhi strabuzzati che si sta vomitando l‘ultima delle sue sette vite, assieme ai resti della cena. Un maleodorante mucchietto di cibo verde decomposto sta sotto il suo letto e il gatto, con sguardo supplichevoli, sembra le chieda pure un bicchiere d’acqua.

Incredibile qui gli animali parlano con gli occhi.

Catherine comincia ad imprecare l’attributo maschile che in questi frangenti è davvero efficace e per l’ennesima volta si alza dal letto. Bisogna ripulire. Sta facendo più ginnastica lei in quel salone, di quella che ha fatto in palestra per una vita. Il gatto continua a guardarla supplichevole, la bestiola è ormai disidratata. Catherine comincia a girare per la cucina e dintorni, aprendo ogni sportello e armadio. Essendo un’amante del poliziesco, anche se legge Anna Karenina, Catherine prova ad immedesimarsi nella padrona di casa per capire dove può aver messo lo straccio e lo spazzolone. Finalmente la lampadina s’illumina, spazzolone e straccio sono sotto la scala. La sospetta irrazionalità di Ellen diventa ora una certezza.
Oramai sono le cinque del mattino, Catherine esausta s’accascia sul divano letto e s’addormenta, nemmeno avesse bevuto quattro vodka, quando improvvisamente un rumore assordante la sveglia nuovamente. Lo stereo ha preso vita autonomamente ed è partito a palla suonando “it’s a hard day night”! Come un automa Catherine si alza e va in cucina a tentoni e si beve un bicchier d’acqua. Calda, perché sbaglia rubinetto.

Mattina dopo, interno giorno. Catherine seduta in cucina, addormentata sul tavolo a braccia conserte ancora col bicchiere d’acqua davanti, Ellen alla macchina del gas, sta bestemmiando perchè non riesce ancora ad accendere un elettrodomestico regalato quindici anni fa dal marito, industriale, l’elettrodomestico naturalmente. Preme la manopola, agguanta l’accendigas, spara, molla la manopola, appare la fiamma pilota, a quel punto gira la manopola e dovrebbe apparire come per magia la fiamma, ma niente, bestemmia nuovamente e riprova. La figlia piccola appare con la coca cola in mano, avanzo della cena prima.
Catherine prende consapevolezza della situazione, della sua faccia riflessa nello specchio, ora suo peggior nemico e alla voce di Hareton corre su per le scale per raggiungere un bagno.

- Hareton ciaoooooooo…quanto tempo…
- Ciao Catherine ben tornata, dormito bene?
- Benissimo! Grazie
- Dalla faccia non si direbbe…

E le dà un buffetto sulla guancia. Catherine non ha mai sopportato Hareton e vederlo adesso, con 10 chili di pancia in più, la consola della sua faccia struccata e distrutta. Con calma ritorna in cucina per bere il caffè, sperando che Ellen sia riuscita a materializzare sul gas. La doccia può aspettare. Dopo una colazione abbondante degna del migliore bed and brekfast, con marmellate di tutti i tipi, condita da frasi spezzate e assonnate e dalla martellante cantilena della figlia piccola, incantata sulla frase, “mamma mi compri domani…”, Catherine va in bagno per iniziare la ristrutturazione.

(continua…)

venerdì 21 gennaio 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERO’ A QUESTA VITA - Cronaca n.2 di BdM

Era qualche giorno che non vedevo Gabriele. Me lo vedo arrivare di corsa con le ali tutte arruffate. Cenno di saluto e si infila in un settore chiuso con una transenna. Dopo qualche minuto lo vedo uscire molto più rilassato che mi viene incontro allegro come al solito, almeno quando non va in giro con lo spadone fiammeggiante per servizio.
“Allora, ti stai ambientando?”.
“Facile ambientarsi qui, è tutto sereno, tranquillo, a parte…”.
“A parte cosa?”.
Essendo novizio volevo chiedere informazioni sul paradiso, Gabriele era disponibile, si capiva dal suo sorriso, ma aspettava che io chiedessi.
“Be’, ma se questo è il paradiso dove sono purgatorio e inferno?”.
“Non esistono”.
“Come? Mi prendi in giro?”.
“Ma figurati. Hai un’idea i costi di gestione che ha questo posto? L’amministrazione non poteva permettersi di aprire altre due attività. Almeno per ora”.
“E quindi le anime dei trapassati sono tutte qua?”.
“Certo. Dove vuoi che vadano?”.
“Quindi buoni e cattivi tutti insieme?”.
“Tutti insieme”.
“Quindi assassini e vittime, ladri e onesti, violenti e pacifici, …”.
“Tutti, basta con questo elenco, tutti!”.
“Ma non è giusto!”.
“CHI HA DETTO CHE NON E’ GIUSTO?”.
“Scusa Signore, volevo dire che mi sembra strano, tutte quelle storia che nell’aldilà, che prima era l’aldiquà e cioè sulla terra, ci raccontavano sull’aldiquà che prima era l’aldilà….insomma sono confuso”.
“Non devi prenderla così. – mi rassicura Gabriele - Può essere anche molto divertente. Siamo in paradiso quindi tutti, per timore di essere cacciati chissà dove, si comportano bene. Pensa che Hitler viene invitato a cena tutte le sere da una famiglia ebrea. Lui, per mantenere una buona condotta, non può rifiutare, altrimenti teme di andare all’inferno. Tutti sanno che è vegetariano e soffre di ulcere e gastrite. Puntualmente gli preparano piatti di carne, speziatissimi e piccantissimi. Certe coliche la notte! E praticamente tutte le notti. Le risate”.
“Posso chiederti ancora una cosa?”.
“Certo”.
“Sei uscito adesso da quella zona lì chiusa da transenne, mi chiedevo perché è vietato entrare. E’ il giardino proibito?”.
“Ma no! Non è vietato entrare. E’ vietato uscire da lì”.
“No, Gabriele, non capisco”.
“Stanno girando uno spot pubblicitario”.
“Ah, e cioè?”.
“Hai presente quelli che vedevi in tv con attori e presentatori che pubblicizzano qualche cosa, un’auto, un caffè e vogliono far credere di trovarsi in paradiso?”.
“Si certo, li davano in continuazione”.
“Proprio quelli. Li girano qui in paradiso”.
“Scusa Gabrie’ ma rischio davvero di cascare dalle nuvole, ma in senso letterale”.
“Ti ho già spiegato che i costi di gestione di questo posto non sono pochi, e allora, per incassare qualche soldo, ci siamo inventati questa specie di agenzia che realizza ambienti ed effetti speciali per qualunque produzione televisiva o cinematografica. Tanto quelli vogliono girare in paradiso e noi li facciamo girare in paradiso. Mica è una truffa. La chiamano “postproduzione” mi pare, ma non sono sicuro perché io non c’entro con questo settore. Fanno delle cose incredibili lì dentro”.
“Ne girano molti?”.
“Figurati! Hanno tantissimo lavoro. E mica solo spot pubblicitari, anche cinema. Prima portavo un messaggio per un’altra produzione di fantascienza, che in quella siamo specializzati. Hai presente Star Wars, con tutti quegli effetti, quei botti, quelle esplosioni? Altro che Lucas, le abbiamo fatte qui. Per quel tipo di lavoro abbiamo Santa Barbara che modestamente se ne intende di botti ed esplosioni. Comunque adesso dobbiamo andare”.
“Dove?”.
“Picnic! Non ti ricordi che avevamo appuntamento qui con gli altri per una merenda sul prato?”.
No, non mi ricordavo ma prima che Gabriele possa cominciare a prendermi in giro, che ormai sembra il suo hobby preferito, arrivano gli altri.
Lucrezia Borgia s’era offerta di preparare spuntini per tutti e appena Mino “Cetriolino” Baldi – comico televisivo noto soprattutto per il tormentone “mi piace il cetriolino” - è partito con una battuta delle sue, tanto banale quanto cretina, Marco Antonio, che come stazza rende onore al suo nome, gli ha mollato una sberla a mano aperta sulla nuca stendendolo.
Gabriele, prevedendomi, m’ha subito spiegato che no, Mino Baldi non è ancora morto, quello era il suo simulacro che, come per ognuno, “nasce” in paradiso contemporaneamente alla nascita sulla terra. Alla morte le due parti si ricongiungono. Alla vista della mia espressione perplessa di nuovo ha anticipato la mia domanda rispondendomi che col tempo capirò bene come e perché, per adesso mi bastava rendermi conto della situazione.
“Quindi – ho pensato - qui posso incontrare tutti quelli che conosco, anche se sono ancora vivi” .
“Si - ha risposto Gabriele, che questa storia che mi leggeva nel pensiero ancora non me l’aveva spiegata e si divertiva alle mie spalle – e puoi continuare i discorsi interrotti perché i simulacri sono perfettamente consapevoli di quello che fa la loro parte terrena.
Lucrezia aveva appena finito di apparecchiare e, mentre Marco Antonio le sbirciava il decolté con la scusa d assicurarsi che non ci fossero sorprese strane, Baldi – appena ripresosi – consumava uno dei due “ciao, cetriolino” giornalieri che gli erano concessi per salutarmi.
Io ormai ero distratto dal pensiero che potevo incontrare di nuovo tutti quelli che conoscevo e, magari riprendere il discorso con quella inchiostratrice con la vita stretta e occhi a mandorla a proposito di reportage a fumetti da realizzare insieme.
“Come faccio ad incontrarli, il paradiso è grande” ho chiesto speranzoso.
“Niente fretta – mi fa il Gabri che stavolta, evidentemente distratto dall’immagine della ragazza che avevo visualizzato mentalmente, non mi ha preceduto – poi ti spiego come funziona quella specie di FaceBook che abbiamo qui. Intanto godiamoci questa tarte Tatin che Lucrezia ha appena servito”.
E’ stata una bella giornata e al ritorno abbiamo incrociato Gandhi mentre incoraggiava Hitler, sconsolato, che si recava all’ennesima cena.
“Tranquillo, Adolf – gli gridava dietro il Mahatma – che la signora Kugelmass ci tiene troppo al suo pepe di cayenna per consumarlo tutto in una sera”.

domenica 16 gennaio 2011

L’AMERICA! di Angelo Tozzi


In America le strade sono tutte d’oro. E mangiano tanto i mericani. Me l’ha detto Don Carmelo.

“Vai. Vai in America, che ci stai a fare qua? In questa terra dove pure le lacrime sono senza sale. Un mestiere lo troverai. In America ci sono i grattacieli. Sai, sono palazzi alti come una montagna. Come quella, la vedi? Di più. E lo sai che hanno fatto una statua alla libertà? Alla libertà! Mica come qua da noi, che le catene te le ritrovi alle caviglie appena nasci. Te li ricordi i film che hai visto alla parrocchia? Quelli li fanno in America. Tutti là li fanno. Ah! Ci stanno due oceani, uno di qua e uno di là, da una parte ci sta il sole e dall’altra piove. E’ grande l’America. E le chiese! Quante chiese ci stanno, una ogni strada. Sono tutti ricchi gli americani, pure tu ci diventi ricco, là.”
“Ma io i soldi non ce l’ho. E nemmeno chi me l’impresta, non c’ho nessuno. Voi lo sapete pure.”
“Ma che pensi ai soldi? Tu non ti devi preoccupare. Nossignore. Conosco una persona... paga lui per te. Poi, una volta che stai in America, lui ti trova subito un lavoro, un bel lavoro, così a lui lo paghi piano piano. E’ tanto buona questa persona. Sulla nave ci staranno tanti ragazzi come te, vedrai che bel viaggio. Ti danno pure da mangiare, tutto quello che vuoi. Che vuoi mangiare?”
“Il pollo! Voglio il pollo! E pure il ragù... com’è buono il ragù cò la pasta...”
“E te lo daranno. Una montagna di pasta e pure i polli, tanti. Dovrai dire basta!”
“Sì... ma c’ho sette anni. Che ci vado a fare in America? Se ci venivano pure mamma e papà... allora sì.”
“Stanno al cimitero, Rinuccio. Pace all’anima loro. Vattene, dai retta a me, vattene. Quella persona, se non ti piace il lavoro te ne trova un altro. Che faccio, ci parlo? Ci vuoi andare in America?”

“Guarda! Michelina, guarda! L’America!!!”
“Madonna mia quant’è bella...”
“Ciro! Guarda pure tu. L’America...”
“Rinuccio... non ce la faccio. Sto male...”
“Ma che muori proprio mò, aspetta. Quel signore tanto gentile sta là quando arriviamo e ti porta dal dottore. Vedrai. Ti porta subito dal dottore. Lui è bravo. Aspetta a morire, Ciro, che stai in America. Aspetta...”

E le strade non erano d’oro. E manco il lavoro.
Mangiavo, questo sì, tanto costava poco. Pochi cents.

“Guagliò, la vuoi una steack?”
“E posso rifiutare?”
“Scegli tu.”
“Allora mangio, ho fame, tanta fame, se permettete.”
“Mangia. Qua in America mangiamo tutti.”
“E ci posso mettere pure il ketchup?”
“Oh, Gesù. E’ il mio colore preferito. Il red, intendo.”
“Pure a me piace il rosso. Posso usarne, come voi comandate?”
“Fai tu.”
“Faccio.”
“Domani vieni al funerale?”
“Don Rosario. E che domanda è? I miei figli ce li porto e pure mia moglie. A proposito, Michelina vi vuole a cena. Comandate.”
“Sono ospite. Mangio quello che mi date. E cosa mi date?”
“Sartù di riso, comanda mia moglie in cucina.”
“Aahhh! Sontuoso piatto. E per secondo?”
“Lei aspetta di esaudirla.”
“Lei o tu?”

E adesso torniamo a casa. Con la nave siamo andati e con la nave vogliamo tornare. Che lo prendiamo a fare, l’aereo. Non è stato tutto bello, in America. I figli sposati e importanti, una bella casa, qualche viaggio e sono passati settant’anni da scagnozzo. Michelina è sempre bella. Lei è felice di tornare in Italia, io, non lo so. Proprio non lo so. E’ troppo tempo che siamo mericani. Il corpo è come un albero, che lo sradichi ma qualche radice rimane sempre nel terreno.

sabato 8 gennaio 2011

MITI....

FETONTE di Luca Baldini

In casa non si parlava mai dei Nonni e quel poco che si diceva lo sussurravano le sorelle mentre in cerchio pestavano le veccie.
Nonno Iperione e nonna Teia, si bisbigliava, erano fratelli!
Del nonno si raccontava pure che durante la guerra tradì i suoi fratelli e addirittura si schierò con Crono contro Zeus.
Elio, il papà, aveva già avuto altre due mogli, Perseide e Rodo, che insieme gli avevano dato dieci figlie tra cui Circe e Pasifae.
La mamma Climene invece era figlia di Oceano e di Teti ed era nata qui.
Durante la sua gioventù ebbe anche lei turbolenti amori, prima fu data sposa a Giapeto e poi sposò a suo figlio Prometeo.
Dopo che in Caucaso il figlio amante trovò la terribile fine e dopo che in agosto anche la sorella Perseide sparì, fu presa da Elio.
A lui dopo tante femmine generò un figlio maschio bello come il sole: Fetonte.
La Egle, la Astride, Dioxippe e la Elie, la Febe, Fetusa e la Lampezia, le sorelle più grandi allevarono il fratellino in giochi e coccole.
Ma Fetonte stravedeva solo per il padre che era per lui un vero dio.
Il suo desiderio più grande era condurre il carro che ogni giorno il padre guidava intorno al mondo.
Elio che amava il figlio quando fu abbastanza grande acconsentì ma lo avvertì: non troppo alto né troppo basso, figlio mio.
Fetonte partì e subito sentì nelle braccia la forza dei cavalli che trainavano il sole, si emozionò sciogliendo le briglie per lasciarli correre poi volle frenarli, ma era la prima volta, era inesperto e le bestie, già irrequiete, invece si infiammarono, prima salirono al cielo bruciandone la volta su cui rimase una scia bucherellata di luci color latte e poi, quando lui spaventato tirò forte le redini, scartarono bruscamente verso il suolo facendolo avvampare.
Distrusse tutta la Libia prima di risalire e correre via verso nord incapace a arrestare la corsa del suo carro.
Zeus per fermarlo non esitò a fulminarlo con una saetta.
Colpito Fetonte fu sbalzato dal carro dai cavalli che ripresero la corsa di sempre. Cascando nel vuoto come una stella cadente si inabissò nelle acque del Po a Crespino tra Ferrara e il mare, le sorelle impaurite piangevano lacrime di ambra e mentre disperate affondavano le mani nel fango della riva si trasformarono pioppi argentati lungo le sponde del fiume che aveva inghiottito e spento lo splendente fratellino.
Lì un’iscrizione ricorda
HIC SITUS EST PHAETON
CURRUS AURIGA PETERNI
QUEM SI NON TENUIT MAGNIS
TAMEN EXCIBIT AUSIS

Qui giace Fetonte,
auriga del cocchio di suo padre;
anche se non seppe guidarlo,
egli cadde tuttavia tentando una grande impresa.




A CENA CON L’OLIMPO di Rossana Carturan

Era stato così ogni giovedì. Era iniziato tutto per gioco, una sera e poi il rito si era ripetuto con semplicità e facili consensi. D’improvviso però tutto si era fermato e nessuno sapeva perché.
E così decisi io per loro. Dovevamo tornare insieme, anche solo una sera. Preparai tutto.
Donne, anime così diverse che da tempo avevano in comune, tra mille emozioni e dubbi, una passione: L’amicizia.
Non amavo truccarmi molto ma decisi di coprirmi il volto con un velo di cipria, forse a celare quegli anni prepotenti che si insinuavano insistentemente. Gli specchi non ingannano, lo sguardo lucido primeggiava e nonostante la matita continuasse a spingere per definire serenità, una ruga non ne volle proprio sapere. Il suono deciso del campanello mi annunciò l'arrivo di L. La più giovane tra noi, bella, suadente e geniale. Le ultime notizie la davano sposata con uno svedese, un tipo loquace ed energico che aveva incontrato ad un corso sulla potenzialità emotiva dell’arpa birmana.
Mi ricomposi ed aprii la porta. Un sorriso e l’abbracciai. La sua tranquillità spazzò via il disagio. Quando il campanello suonò ancora, con un gesto mi anticipò, precipitandosi ad accoglierle.
N., la più resistente, occhi fintamente severi e gambe lunghe tenute in pantaloni fasciati, a rafforzarne il rigore. Dietro scorsi F., minuta, con il cipiglio sempre liricamente distratto. Scivolando in frasi di convenienza, ed in teneri sorrisi, attendemmo le altre. Fu un attimo e di nuovo il campanello trillò. Ero sicura, non avevo dubbi che fosse lei. La percepii dietro l’uscio, riconobbi il tono giocoso. Aprii la porta. Sempre bella da commuovere, A., con una voce mascolina e colorata da essere discorde su quel volto dai tratti armoniosi. La seguivano S. e R. L’una ferma sulla sponda di un fiume antico, che sa raccontarti solo pensieri autentici; l’altra attratta dalla sua stessa, feroce, sincerità. Le guardai una ad una, sembrava di essere al convegno delle Muse. L, proprio come Afrodite, generata dalla spuma del mare raffigurava la dea della bellezza e dell'amore, ammorbidendo con la sua grazia ed il suo acume indiscutibile, qualsiasi sofferenza; N., Artemide, protettrice di tutte noi, coordinava ognuna, in un eterno compromesso, mordendo scherzosamente chi ostacolava il cammino F., mostrava invece la fierezza di Atena, la dea della guerra che portava alla vittoria delle arti e dei mestieri.; S. che incarnava l’espressione più morbida di Vesta, Dea del focolare, proponeva un fuoco accudente che invogliasse le commensali ad una saggezza familiare; e poi A. la nostra Demetra, Dea del grano e dei raccolti, la sensualità carnale, tangibile come la terra, indubbia come il frutto di una semina che esplode in ogni gesto. E poi R., che altro poteva essere se non Gea, dea della Madre terra, colei che da sola riuscì a generare il cielo più bello, proprio come i suoi desideri. E poi io che, come Giunone, della mia abbondanza ne feci un’amarezza. Mentre si narravano eventi divertenti, capii. Era chiaro. Ci eravamo fermate perché c’era stato un momento in cui Eros aveva dimostrato di essere davvero figlio del caos, e non poteva assentarsi da quella tavola pur volendolo, perché anche se senza Dioniso avevamo svestito la bellezza del vino, vagheggiava la sua prepotenza e non ne eravamo uscite indenni. Avevamo scoperto che Apollo incantava con la sua musica non solo le ninfe dei boschi e che Eracle era necessario anche solo per tirar su una cassa d’acqua; ovvero avevamo avuto coscienza, tutte quante, che per quanto fossimo dee di un Olimpo, l’uomo aveva manifestato in ognuna di noi la propria prepotenza, modificando umori, passioni e proponendo brecce diverse, oltre a quella gioia quasi fastidiosa a cui non si riusciva a rinunciare. Ma ora no, ora sedevamo di nuovo lì, tra dentiere e bastoni, tra capelli tinti e trucchi colanti, tra occhiali e apparecchi acustici (solo il mio), fiere di essere noi e assolutamente decise a non fuggire più alcuna esibizione.

lunedì 3 gennaio 2011

AULD LANG SYNE di Naima

Da quando vivo tra gli umani, indossando questo scomodo corpo con sembianze di donna, non mi era ancora capitato di avere un esperienza così singolare. Con rigore scientifico avevo osservato e dettagliatamente riportato ogni loro abitudine, senza quasi mai scompormi; non mi avevano stupita nè il loro modo di nutrirsi, nè i rituali di accoppiamento, nè i bizzari modi di governare il loro mondo. Animata dalla più pura curiosità antropologica, mi sono gettata a capofitto nella mia missione: dotata di un corpo con caratteristiche che sembrano essere molto gradite a questi popoli, non ho esitato a fare amicizia con ogni tipologia di essere umano ed essere ben accetta ovunque mi consente di avere un gran numero di relazioni sociali e di poterli osservare estremamente da vicino in molteplici occasioni. Mi sono occupata di politica, sport, cucina, scienza, filosofia, teologia, shopping e credo di aver condotto una scrupolosa e utile ricerca. Come guidata dall'invisibile forza cosmica che regola tutte le cose, ero riuscita con facilità a capire i vari meccanismi che ordinano le relazioni tra gli umani e adattarmi al loro stile di vita. Oramai mi sembrava di essermi perfettamente integrata e con un po' di presunzione credevo di sapere tutto su di loro.
Già pregustavo il mio meritato e trionfale ritorno su Zyrkwz, il pianeta dal quale provenivo, sentendomi prossima alla conclusione del mio studio, quando accadde qualcosa che mi stupì e mi costrinse a prolungare il mio soggiorno di analisi e ricerca. Questo “qualcosa” arrivò dapprima come una sensazione, un profumo nell'aria, elettricità sospesa... Poi cominciai a notare una certa frenesia, un aumentato riversarsi di umani per le strade; sempre più agitati, come formiche in un formicaio, si aggregavano per i negozi del centro cittadino e nei centri commerciali nelle cui vetrine comiciarono ad apparire festoni colorati e luci variopinte e intermittenti (pensavo di aver fatto una grande scoperta intuendo un segreto ed elementare codice di comunicazione ma dopo giorni di tentatvi e trilioni di combinazioni ho dovuto arrendermi al fatto che quei segnali intermittenti erano del tutto privi di senso!) Mi sono quindi concentrata sulle indagini, ero completamente disinformata riguardo a questi nuovi, insoliti comportamenti, ma dovevo stare attenta perché facendo domande troppo dirette sarei sembrata strana, mi avrebbero apostrofata con un “ma in che mondo vivi?” e non sarebbero stati così distanti dalla realtà... Unendo l'intelligenza propria della mia razza all'avvenenza del corpo umano di cui sono stata dotata, ho recitato la parte della svagata facendo domande sciocche, fatto qualche ricerca in Internet e finalmente ho raccolto interessanti informazioni: sembra che in questo periodo si celebrino più ricorrenze contemporaneamente, prima tra tutte la nascita di uno degli dei che gli umani adorano, rappresentato da un bambino alato che dotato di un arco scaglia le sue frecce per portare pace e amore (uhm... sì, mi sembra sia così, in sintesi...) il secondo è un dio della prosperità raffigurato da un vecchio con una lunga barba bianca, ed il terzo è un dio della natura il cui simbolo è un totem verde, simile ad un albero riccamente decorato, a volte con effetti molto kitsch. Anche da noi su Zyrkkpw... oops scusate volevo dire: Zyrkwz (a volte non ricordo quasi più la mia lingua) adoriamo delle divintà, ma i nostri riti non sono paragonabili alla sfarzosità di quelli degli umani. Quì sulla terra le città sono addobbate con simboli, luci colorate, tappeti rossi; bande musicali e cori sono ad ogni angolo di strada; le vetrine traboccano di merci invitanti; c'è opulenza, frenesia.La mia amica e vicina di casa, Betty, mi ha invitato a passare la sera della vigilia di Natale dai suoi: sembra che in quel giorno sia proibito stare soli ma ci si debba per forza volere tutti bene e stare in compagnia. E' commovente scoprire quanto amore e solidarietà vi siano tra le genti, sebbene proprio la sera prima, rientrando a casa, io abbia assistito ad una violenta rissa tra alcuni rozzi individui e stamattina, sull'autobus, non siano mancati strattoni, spinte e altre scorrettezze per la conquista del posto a sedere (sono tentata di incenerirne qualcuno, particolarmente meschino, con i raggi Zoxar). Anche le notizie che ascolto alla televisione non sono affatto rassicuranti, ma molta della gente che incontro è davvero più aperta, socievole, gentile... sono tutti più sorridenti. Insieme alla mia vicina di casa e amica Betty, ho vissuto giorni continui di festa, visitando numerose case di umani, brindando alle loro tavole riccamente imbandite e giocando d'azzardo (ho vinto molto ma non ne vado fiera: ho barato un po' usando le mie capacità zyrkwziane...) ed ho fatto un'interessante scoperta: sembra che quì la convivialità vada a braccetto con pace e amore, mentre da noi questo si attua solo con astinenza, ascesi e meditazione.

E' stata una travolgente settimana di relazioni sociali e di mangiate, con scambi di doni e baci e una gran quantità di materiale umano da studiare, giorni intensissimi e proficui che culmineranno nella festa che ci sarà stanotte, durante la quale si celebrerà il passaggio dal vecchio al nuovo anno.
Eccoci! Betty ed io siamo vestite in modo strepitoso, come usano le umane (che sinceramente apprezzo di giorno in giorno sempre di più: dovreste vedere queste mie fantastiche, altissime Manolo Blanick!) abbiamo ballato tutta la sera, incontrato i tipi più divertenti, scoppiamo di felicità ed io cerco di mantenermi sobria per impedire ai raggi Zoxar di fuoriuscirmi dagli occhi inavvertitamente e incenerire per errore il bel ragazzo a cui sono avvinghiata ora. Ma ecco, tutti si agitano e si riversano sul grande terrazzo, è quasi il momento, alcuni hanno delle bottiglie in mano e le maneggiano con la cautela che si userebbe nel maneggiare qualcosa di esplosivo: il ragazzo a cui sono abbracciata mi stringe più forte, abbiamo un lungo calice in mano, contano a gran voce tutti insieme: 5, 4, 3, 2, UNO!!!! Scoppiano fuochi d'artificio e bottiglie di quella deliziosa e spumeggiante bevanda, il mio compagno ed io ci baciamo ardentemente, poi brindiamo mentre guardiamo i fuochi esplodere nel cielo... Sembrano astronavi... e quelle stelle lontane che riempiono il buio della notte, mi rammentano che è ora di lasciare la terra. Mi prende una strana sensazione, direi che sto sperimentando la malinconia... e non so se sia per la voglia di tornare sul mio pianeta o di restare quì per sempre. Mi volto verso il mio bellissimo compagno - di cui non ricordo il nome - e mentre gli sguardi si incatenano, una lacrima mi scorre sulla guancia...

Colonna sonora: Auld lang syne – Mariah Carey