venerdì 27 agosto 2010

PER UN GIORNO SOLTANTO di Daniela Rindi

Bip, bip, una manata rompe quasi in due una sveglia digitale, puntata sulle 6.30. I piedi prendono possesso di due ciabatte griffate messe correttamente in posizione e trascinano un corpo ancora addormentato davanti alla tazzina del caffè….Buono, l’esperienza partenopea non si smentisce e appaga il gusto, rigorosamente amaro. Una doccia veloce, una spalmata di crema per pelli secche, consigliata dall’estetista e il solito tailleur blu di Armani, scarpa con tacco medio, suggerita dal podologo. Il trucco è indispensabile per coprire occhiaie e rughe di una donna di mezz’età, ma senza esagerare, potrebbe risultare volgare. Borsa Prada, chiavi Cartier, trench Valentino, cappellino leggermente sceso sul viso, occhialoni Ferrè, praticamente irriconoscibile.

In strada l’autista già pronto con la limousine, rigorosamente nera. Durante il tragitto il cellulare suona otto o nove volte, richiedendo risposte impegnative e dettagliate, quasi tutti ordini. Uno specchietto estratto dalla borsa aiuta a riassestare i capelli cotonati, taglio e messa in piega di Coppola. L’auto si ferma davanti ad un importante, quanto lussuoso palazzo al centro della città. Un custode in livrea apre la porta alla donna con ossequioso rispetto. Ascensore, ultimo piano, un lungo corridoio accompagnato dai “buongiorno sig. Presidente” e inchini di cortesia, termina davanti alla porta di un elegante ufficio, arredato da immense vetrate. Tutta la città è sotto controllo, almeno visivamente. Neanche il tempo di togliersi gli occhiali, il lavoro inizia con l’irruzione di un corteo di segretarie che inizia a smistare cartelle, sottoporre a firma, annotare richieste, ricordare appuntamenti, passare telefonate, chiedere permessi, tutto con un ritmo disumano, quasi non ci fosse più un domani. Pausa pranzo, naturalmente di lavoro, nel migliore ristorante della città. Anche un’aragosta all’algherese può riuscire indigesta quando di contorno ci sono dati, numeri, quotazioni di borsa, battaglie legali, indici d’ascolto.

Il rientro in ufficio non è meno impegnativo, una riunione dopo l’altra, fondamentali per il buon andamento dell’azienda, accompagnano il resto del pomeriggio. La sera arriva, l’ufficio torna a essere silenzioso, finalmente. Si posano gli occhiali sulla scrivania e ci si lascia accogliere dalla grande poltrona di pelle. Un flute di champagne e una sigaretta sanciscono la fine della noiosa giornata. A questo punto la domanda è sempre la stessa:
– Che posso fare nella vita? Come posso collocarmi adeguatamente, cosa fare per sentirmi veramente realizzata? Sono partita dal niente, cresciuta in un piccolo paese di provincia, in una famiglia che faceva fatica ad arrivare a fine mese. Ho studiato poco ma con il massimo rendimento, ho lavorato con il minimo sforzo e mi sono sempre ritrovata ai vertici… ma come è possibile che a soli quarant’anni io sia già presidente di tre multinazionali, proprietaria di catene d’alberghi, due squadre di calcio, sei stazioni televisive e tre isole nel pacifico? Senza contare ciò che non ricordo.
Tutto quello che faccio mi riesce perfettamente, senza fatica, questo è il mio dramma. Saper fare tutto eccezionalmente e non trovare più nessuno stimolo in nulla. Mi annoio terribilmente e per questo mi sento vuota e stanca, disperata e incredibilmente incazzata. Perché madre natura mi ha dato un simile dono? In questo mondo non so che farci!

Sono un’incompresa cronica, destinata all’alienazione. Ho provato ad avere successo, fama, soldi, popolarità e ci sono riuscita. Ho il mondo ai miei piedi, ma lui non ha niente da offrirmi. Avere tutto per non desiderare nulla. Paradossale. Uomini? Per carità, sono talmente popolare che fanno a gara per venire a letto con me, per strappare una foto ai paparazzi. Così non c’è gusto, non riesco neanche a capire se piaccio veramente…si sono una bella donna, ed è relativamente facile esserlo, quando ci si può permettere qualsiasi trattamento estetico. Nell’intimità non so se amano me o il mio impero. Nel dubbio ho rinunciato ad avere una vita affettiva stabile, quindi non ho neanche figli, non potrei permettermeli, ho troppi impegni, troppe responsabilità. Non so se mi piacerebbero…non sono ancora riuscita a capire se mi sono completamente indifferenti, perché mai presi in considerazione, o semplicemente perché detesto i bambini. Tutto questo contribuisce a rendermi molto sola, onnipotente ma sola…-

La porta si apre, una segretaria, immobilizzata in un ordinario tubino nero, chiede il permesso di entrare. Titubante posa sulla scrivania dei nuovi contratti, cifre sorprendenti, tra cui la partecipazione all’acquisto di un’importante compagnia aerea. Ancora soldi, ancora affari eccellenti, ancora conferme del suo innato talento. La segretaria immobile aspetta solo un cenno, per uscire da quella stanza di corsa. La manager è rimasta a fissare i fogli, senza espressione. La segretaria finge un colpo di tosse e lei solleva lentamente lo sguardo:
-Dimmi Rosy, ma tu cosa desideri per te?
- Signora, io desidero tante cose! Ho un elenco infinito! - No, la cosa che desideri veramente, più di ogni altra ? - Beh…se proprio devo scegliere la più importante vorrei…vorrei essere lei, anche per un giorno soltanto! Si, credo proprio sia questa...
- Grazie Rosy, puoi andare.
La segretaria esce con passo affrettato, chiudendo nervosamente la porta. Un colpo di vento scompiglia i fogli sulla scrivania, il silenzio è tornato nella stanza... delle urla salgono dalla finestra.

venerdì 20 agosto 2010

L’UFO di Pasquale Bruno Di Marco


Continuano le segnalazioni di avvistamenti da parte di cittadini sempre più preoccupati per un inquietante fenomeno che ha caratterizzato queste giornate estive nella nostra in città e che vasta eco hanno avuto finora sulla stampa locale. Si parla ormai apertamente di UFO e, anche se le autorità non si sono ancora pronunciate, nei bar, nei centri commerciali, per strada le persone sempre più spesso si scambiano questa parola insieme a sguardi che assumono le sfumature più diverse secondo le circostanze dell’avvistamento.
L’unico elemento che accomuna tutti gli avvistamenti è il luogo: tutte gli avvistamenti sono avvenuti lungo quella fascia che affianca la strada che dal centro città conduce a Capo Portiere. Si tratta di un’area che si sviluppa per una decina di chilometri con una larghezza variabile che da poco più di un metro all’interno della città, dove è caratterizzata da una pavimentazione in betonelle e da una vegetazione piuttosto invasiva, raddoppia andando verso il mare dove la pavimentazione tende a diventare in asfalto ed è separata dal resto della carreggiata, normalmente dedicata al traffico veicolare, da parapetti in cemento.
Lungo questo percorso dove i cittadini svolgono le abituali attività quali passeggiare, fermarsi a chiacchierare, fumare, leggere il giornale, sostare con motorino, auto, SUV, autocarro, autoarticolati, depositare i coloratissimi sacchi della differenziata e qualunque altra attività che venga loro in mente – la fantasia non manca dalle nostre parti – da qualche giorno misteriose apparizioni stanne gettando lo scompiglio.
Si parla di uno strano veicolo che si muove sul terreno quasi senza rumore e che sarebbe caratterizzato da una forma tendente al piatto posta in verticale, ossia perpendicolare al piano stradale. Quello su cui molte testimonianze convergono è la presenza di due forme circolari – qualche esagitato parla di un numero maggiore ma lo stato di sovreccitazione ci porta ad escludere tale ipotesi in quanto come è noto, secondo il principio di Heisemberg, la descrizione del fenomeno è sempre influenzata dall’osservatore – poste una nella parte frontale e l’altra in quella posteriore in modo che le due forme appartengano comunque allo stesso piano geometrico, e che ruotando su se stesse consentono al veicolo di spostarsi nello spazio.
Le due forme circolari – che qualche intervistato azzarda a paragonare a ruote – sono collegate tra loro da una struttura metallica al cento della quale sarebbe posizionato un essere più o meno antropomorfo che sta in una posizione quasi seduta e, sembrerebbe da quello che si dice, che non stia fermo ma muova alternativamente le due lunghe propaggini inferiori allo scopo di assecondare, almeno così è stato teorizzato, il movimento all’apparecchiatura sottostante.
Questa descrizione ha spinto l’esperto, inviato in zona da una nota trasmissione televisiva che si occupa di fenomeni apparentemente inspiegabili, a fare un parallelo con il famoso “astronauta di Palenque” un’incisione su una pietra tombale maya ritrovata nel Tempio delle Iscrizioni, nello stato messicano del Chiapas, dove è ritratta una figura umana in una posa che ricorda quella di un viaggiatore spaziale intento a pilotare un veicolo non identificato. La postura dell’incisione ricorda in modo molto vicino quella della descrizione dei testimoni, troppe le analogie per pensare che sia solo frutto del caso, almeno secondo l’esperto.
L’altro giorno si sono avuti momenti di estrema tensione quando il fenomeno si sarebbe manifestato in un punto della carreggiata, caratterizzato da un bizzarro rialzamento del suolo e da decorazioni fatte con vernici bianche, realizzato in modo da collegare un marciapiede all’altro. In quel momento la strada era percorsa allegramente dalle auto degli aspiranti bagnanti e alla vista dello strano veicolo ci sono stati momenti di confusione e anche scene di panico. Una donna ha avuto necessità di ricorrere al pronto soccorso dopo aver perso i sensi per l’emozione.
Come dicevamo non tutte le reazioni sono state dello stesso tipo. Alcuni fedeli hanno invocato la presenza del vescovo attribuendo il fenomeno a non meglio identificate presenze. Costoro avrebbero osservato, infatti, che lungo il percorso sono stati tracciati più o meno a distanza costante dei segni bianchi che risaltano sulla coloratura rossiccia dell’asfalto. Tali segni ricorderebbero in forma stilizzata il misterioso veicolo descritto nelle apparizioni. Pertanto, secondo le ipotesi di coloro che hanno invocato la presenza dell’alto prelato, questi sarebbero indicazioni di riti magici effettuati da misteriose sette. E’ noto, afferma il loro portavoce, che quelli che si dedicano a culti esoterici soni usi a tracciare simboli a terra intorno ai quali lanciarsi in danze lascive tipiche dei riti orgiastici.
Per l’esperto inviato dalla nota trasmissione televisiva, tali segni sarebbero da ricondurre, invece, ad una sorta di sistema di comunicazione aliena tutta da decifrare, tanto più che tale riproduzione stilizzata sarebbe presente anche su dei dischi metallici appesi a dei pali posti lungo il percorso in cui il disegno stilizzato è riproposto di nuovo in bianco su fondo azzurro. Questi sono di due tipi, uno semplice come già descritto e un secondo tipo che al disegno aggiungerebbe una fascia diagonale rossa. Una chiara indicazione di un codice che segnala situazioni differenti e quindi la comunicazione diretta a coloro che sono in grado di decifrarlo. L’esperto anche in questo caso spiega che il modello di riferimento va trovato nei geoglifi di Nazca - linee tracciate sul terreno, del deserto del Perù, con i profili stilizzati di animali, alcuni lunghi più di 180 metri, e che possono essere visti solo dall’alto - e quindi l’ipotesi più probabile, per analogia, è quella che il percorso altro non sarebbe che la pista di atterraggio di questi misteriosi mezzi di locomozione.
La forza d’animo, comunque, non difetta nei cuori dei nostri concittadini che, nonostante queste inquietanti apparizioni, continuano a svolgere le normali attività lungo il percorso, passeggiando, leggendo il giornale, depositando i coloratissimi sacchi della differenziata, sfregando gratta e vinci, parlando al cellulare e, soprattutto, parcheggiando ogni tipo di veicolo alla faccia del misteriosissimo UFO.

sabato 14 agosto 2010

L'ULTIMA ESTATE (Una Polaroid) di Naima

Ogni estate, da che ne ho memoria, i miei genitori affittavano una minuscola villetta al mare, sempre la stessa, per tutti gli anni della mia infanzia e oltre. Le famiglie che ogni anno ritrovavamo erano oramai parte di una grande tribù che si riuniva per quella che sembrava una grande migrazione rituale. Avevo molte amiche al villaggio e amavo giocare anche con i bambini. Soprattutto non vedevo l'ora di incontrare di nuovo Matteo, ma facevo di tutto perché nessuno lo immaginasse nemmeno lontanamente.
Come sempre, appena arrivati, non lasciavo ai miei nemmeno il tempo di scaricare i bagagli che già correvo come una capretta tra sassi e sterpi alla ricerca dei miei amici e col batticuore pregavo: “Fà che ci sia Matteo. Fà che ci sia Matteo”.
Erano tutti lì, come sempre; qualcuno sarebbe arrivato dopo, qualcuno sarebbe partito prima, ma c'erano tutti. E c'era Matteo. Allora tutto era perfetto.

Erano giornate meravigliose, in cui tutto quello che volevamo e dovevamo fare era lanciarci in corse sfrenate tra i campi di grano con le bici, sfide di nuoto, giochi sulla spiaggia, gavettoni e altri scherzi, qualche confidenza, qualche pettegolezzo. Unici obblighi: rientrare per l'ora dei pasti, rimettere a posto la cameretta prima di uscire la mattina e aiutare mamma a sparecchiare la tavola.

A me, oltre che giocare e chiacchierare con le amiche, piaceva giocare a pallavolo sulla spiaggia fino al tramonto o giocare con le biglie insieme ai maschietti.

Facevamo lunghi percorsi tortuosi scavati nella sabbia, compattavamo con acqua, pressando con le mani e le palette e ci divertivamo a creare difficoltà sempre più grandi, studiando curvature e pendenze del terreno come piccoli ingegneri.

Spesso giocavo con Matteo, andavamo proprio d'accordo e mi piaceva un sacco anche se era un po' paffuto: aveva bellissimi capelli neri tutti dritti, la pelle scura e occhi luminosi con un affascinante taglio all'insù. Ero pazza di lui... e visto che non si separava mai, devo supporre che anche lui lo fosse di me.

All'epoca avevo jeans sempre sbiaditi e consunti all'altezza delle ginocchia e se portavo i pantaloncini... erano le ginocchia ad essere sbucciate; avevo capelli lunghissimi e un po' selvaggi, la disperazione di mia madre che mi inseguiva spesso con nastri e forcine nel tentativo di domare loro... e me.

Una sera, durante una delle tante cene tra famiglie di vacanzieri, Matteo ed io ci trovammo soli sotto il pergolato della terrazza, nell'assordante concerto di grilli e cicale, mi rivolse la parola come se mi confidasse un segreto: “Io non vorrei mai crescere, vorrei che tutto restasse sempre così”. Non gli risposi, non lo capii: io, invece, non vedevo l'ora di sperimentare com'era diventare grandi!

Poi non ci pensammo più, troppo occupati a giocare tutto il giorno fino allo sfinimento. Che sensazione magnifica, la sera, sprofondare tra le lenzuola fresche, piombando immediatamente nel sonno... e la mattina si ricominciava carichi di energie.

Ma una mattina il mio risveglio fu diverso dal solito: nelle mutandine trovai una macchiolina rosa...: sapevo che presto sarebbe successo, qualche mi amica ci era già passata. Raggiunsi mia madre in cucina; devo esserle sembrata una sorta di fantasma, lì sulla soglia della porta, insolitamente immobile e silenziosa; all'inizio lei mi lancia qualche battuta scherzosa che non raccolgo, allora lei – come le mamme dei film – capisce tutto, mi mette a sedere e mi parla di quel che mi sta succedendo: non l'aveva mai fatto prima e tutto quel che sapevo, lo avevo appreso da amiche un po' più grandi. Piagnucolai: “Non potrò fare più nulla adesso!” Mi rimproverò con un sorriso canzonatorio stampato sulla faccia: “Non essere sciocca, potrai fare le stesse cose di sempre”.

Tutto sommato non mi piaceva più diventare grande: mi sentivo atterrata da una zavorra del peso di una tonnellata – come nei fumetti di Paperino – e sapevo che nulla sarebbe più stato lo stesso.

Quando uscii a giocare con gli altri... avevo il muso e non riuscii a comportarmi come al solito: tutto mi sembrava distante da quella che ero adesso. Alcune amiche capirono cosa mi era successo e si avvicinarono in vena di confidenze. Matteo venne verso di me e stranamente anche lui (siccome gli uomini non capiscono mai niente, mi sembrò eccezionale da parte sua) capì che qualcosa era cambiato, infatti non osò avvicinarsi come al solito, non ci fu nessun contatto, non mi trattò come se fossi un compagno di giochi ma mi chiese timidamente, a distanza, se mi andava di fare una partita a biglie... Mi sentivo come una lebbrosa. Ero furiosa e... prigioniera. Tuttavia accettai di sfidarlo, mi aggrappai alle consuetudini perché non mi sfuggisse tutto di mano, perché non cambiasse tutto così all'improvviso.

Cominciammo a giocare, non ero molto in vena ma mi difendevo bene... tuttavia non ero concentrata... Mentre la gara si faceva più avvincente, Matteo ed io ci trovammo testa a testa, sudati ed agguerriti, ma freddi come due grandi strateghi che dispieghino i loro eserciti per la battaglia finale... ed io, improvvisamente presa dallo sconforto, quasi gli gridai: “Hai ragione: nemmeno io voglio diventare grande! Non voglio che tutto questo cambi.” Mi guardò sorpreso e un po' assente: aveva già dimenticato? Ricominciammo subito a giocare e naturalmente vinse lui. Poi dimenticai le mie biglie in un cassetto, per sempre.

Da allora, tutto cambiò nelle nostre vite; quella fu l'ultima estate intensa e spensierata della mia infanzia... e come andarono le cose poi... credo che più o meno lo immaginerete.

(colonna sonora consigliata: Fearless – Pink Floyd e The last good day of the year - Cousteau)

sabato 7 agosto 2010

IDIOTA di Anna Profumo


«Idiota!», idiota io che mi trovo nuovamente in questa situazione».
«Nei programmi non doveva più accadere. Errore umano diranno: il mio». Nel contratto stava scritto nelle note 23 e 25 - voce 178, ma chi legge le note 23 e 25 di un contratto di 320 voci che firmano tutti?.
«Non ridete. Non autorizzo a prendervi gioco di me. Magari domani quando anche io riuscirò a vederne il lato ironico».
«A trovarlo il lato ironico».
«Vent’anni di vita insieme, oramai la ritenevo parte di me, due corpi e un anima. Lei si era impegnata a impedirmi figure da idiota io a passarle una retta da 1'500 euro al mese con scatti annuali. Vent’anni impegnati a far carriera per potermi permettere Lei. Sapete cosa hanno significato per uno come me? Neanche mia moglie ha ricevuto dedizione e attenzione per così tanto tempo».
«La mia ex moglie diceva: non te ne sei fatta fatta scappare una del resto sei un uomo, il timone guida la tua carcassa».
«Con voi posso esser sincero, ci fosse scappato qualcosa. Niente solo ad immaginarla la situazione sfumava». Illudeva quella che con sguardi ammiccanti e la bocca umida, semi aperta alludeva.
«Pure io alludo e illudo!». Mi ricorda. Professionale, efficiente la mia coscienza.
«Ma non l’avevo licenziata?».
«No, siamo in causa. Il contratto sarà recesso allo scadere, come pattuito». Nel frattempo lei è qui.
«Capite quali voci non avevo letto? Le voci che non mi permettono di metterla a tacere, che non mi permettono di far come voglio, di ignorarla».
«Impossibile, hai firmato un contratto».
«Basta!».
«Impossibile, hai firmato un contratto».
«Impossibile farla tacere!».
«Ah, ah, ah, ah! Ecco rido, rido, rido e rido! Alla faccia della coscienza. Ah, ah, ah, ah! Ecco qui non ti sento, se rido il mio ridere è così grasso e forte che non ti sento».
«Che dici?»
«Cosa ho da nascondere?»
«A cosa voglio fuggire?».
«Non si rende conto del condizionamento, giudica dall’alto e giuda il mio volere dove vuole lei, mia padrona senza macchia ignara del dramma di cui è artefice».
«Non voglio fuggire, voglio essere libero!»
«Ah! Stasera non voglio tornare a casa, chiamo Mario e andiamo a cena fuori torniamo quando ci pare. Anzi no, non torniamo per niente chiamiamo Peppe e lo raggiungiamo a Roma andiamo in uno di quei posti dove si beve e si fuma fin al mattino, conosciamo donne».
«Questa è trasgressione?» Serpeggia la vipera.
«Questa è una sfida». Ti sistemo io, tattica sessista.
«Adesso chiamo chi sai tu. Lo sai che ha un debole per me. L’hai vista anche tu!». L’hai vista. Bastarda, ora capisco, mi hai fermato.
«La invito fuori, due moine, una carezza, mi avvicino e lo sai che se voglio … ».
«… La faccio contenta». Bastarda, ti prendi gioco di me.
«Non cominciare a ricordarmelo, no! Ultimamente va meglio, non è più successo».
«Si, immagino che tu abbia tenuto il conto, ma non voglio sapere».
«Non dovrei farla tanto grossa. Ma senti tu! Basterebbe farsi vedere una volta dal medico».
«Nel contratto si dice che sei la mia coscienza non la mia personale campagna per la prevenzione, così mi fai venire la depressione».
«Mai confidare le tue debolezze, potranno venir utilizzate contro di te».
«Senti, ora piantala o tutti crederanno che a me ci tieni! Credetemi è subdola, si insinua silenziosa e tagliente come una lama e come una lama dilania la mia libertà e la mia autostima».
«Non puoi lasciarmi andare al mio destino?».
«Impossibile, hai firmato un contratto».
«Impossibile, hai firmato un contratto». «Impossibile, hai firmato un contratto». «Bastaaaaa!» Ho bisogno di dormire. Mi ha svegliato ancora. Il caldo, le zanzare, Lei.
«Hai firmato un contratto!». Non è lei, lo urlano fuori dalla finestra. Mi avvicino alla tapparella, è così sudicia che devo fare attenzione a non toccarla, devo dirlo alla signora delle pulizie. Due figure sul terrazzo di fronte illuminate alle spalle dalla fioca luce della cucina. No, sono tre: due uomini e un ragazzo. Uno lo trattiene l’altro lo percuote con qualcosa.
«Ehi, voi fermatevi! Ho chiamato la Polizia!». Guardano nella notte ma non vedono nulla, sono nascosto dietro la tapparella abbassata.
«Fermi! Lasciatelo ho chiamato la Polizia». Fanno un gesto disperato per far superare al corpo il balcone, lui si divincola, reagisce. Si capisce che quelli sono professionisti. Il corpo del ragazzo è lanciato fuori dalla ringhiera. In pochi secondi il balcone si svuota. Le tapparelle con grande rumore si sollevano, la gente si affaccia commenta. La notte sarà lunga tento di riaddormentarmi, ma il vociare, le sirene delle auto, il caldo, le zanzare, Lei.
«Devo denunciarli, testimoniare». Non cambierei la sorte di quel tipo.
«Non è civile».
«Taci!».
«Tacere dovevo. Se non gridavo, sarebbe ancora vivo».
«Impossibile cambiare quello che è successo, ma permettere alla giustizia di fare il suo corso … ».
«Piantala, non ti sento. Quelli mi ammazzano». Tace.

«Odio prendere gli aerei ad agosto, tutta questa gente che si muove per andare in vacanza o per tornare dalla vacanza, tutti comunque stressati».
«Guarda tu questa mezza nuda, maglia senza spalline e senza il reggiseno».
«Si certo può permetterselo avrà vent’anni una bella pelle ancora compatta se non fosse maltrattata dall’abbronzatura, macchie rosso mela e due spalline ambra bianca tatuate dal sole ». Sta li che ogni tanto tira su, un po' una un po' l’altra, non le spalline che pensa non la vediamo?
«Si, ti aiutiamo a mettere la valigia a posto, anzi lo fa il belloccio ormonato, tranquilla ti ha notato».
«Ehi, ma che fai?». Vuoi stare attento stai sparpagliando per l’intero aereo tutta la roba che quella è riuscita a mettere li dentro.
«Senta, le son caduti anche questi 20 euro». Ringrazia incredula la “melozza”, non ci sto provando. Credimi, non ho scelta.
«Il contratto è scaduto». Mi giro. Lo ha detto una bella donna sui quaranta seduta sulla mia fila lei lato finestrino, deve essere passata quando mi sono alzato.
«Prego?»
«Non sei costretto, il contratto è stato sciolto. Hai potuto scegliere». Quella voce mi ricorda Lei.
«Ci conosciamo?»
«Non proprio».
«Di vista?».
«Diciamo che il nostro … è un punto di vista privilegiato».