Cammina davanti a me lentamente e io la seguo a poca distanza. Si ferma e si volta a guardarmi. Pochi istanti di riflessione poi viene verso di me con gli occhi fissi sui miei. Si ferma davanti al mio viso, quasi le punte dei nasi si sfiorano. Pochi istanti ancora e mi gira intorno, si pone alle mie spalle e mi sussurra«Chiudi gli occhi».
Poi sento che mi prende le mani, mi fa allargare le braccia, prende un respiro infinito e ci alziamo in volo. La sensazione è talmente forte che mi toglie il respiro e ho paura di aprire gli occhi. Poi lo faccio e vedo.
Voliamo insieme, sovrapposti, lei sopra di me, sento la proiezione del suo corpo sul mio. Forse è più giusto dire che lei mi trasporta in volo anche se non mi tocca. Come se mi avesse inglobato nella sua aura. Dall’alto vedo la città delinearsi nei suoi cerchi concentrici originali violentata da tracciati più recenti che non hanno saputo rispettarne l’antico disegno. Ci abbassiamo nel nostro volo gemellato e percorriamo i canali costituiti dalle facciate degli edifici. Non esistono altri esseri umani, anche se noi in questo momento non possiamo considerarci tali.
Planiamo nella piazza centrale fino sull’acqua della fontana e sento crescere un senso di grave malinconia in lei. Poi, quasi con uno strappo, mi riporta in quota.
Voliamo sulla campagna irreggimentata dai canali e dalle scoline, verso il mare, e seguendo la teoria dei laghi costieri, fino ad un’altra città appoggiata su uno dei laghi. La città è situata verso l’interno e per raggiungere il mare è costretta a scavalcare il lago con un lungo ponte in cemento. Con un lento volo radente percorriamo quest’altra città, anch’essa priva di vita, poi il ponte con un’accelerazione che mi impedisce il respiro, fino alla duna per poi impennarci in un volo verticale che mi stordisce.
Mi ritrovo solo in volo, dentro una nuvola. Mi sento perduto, riesco a gestire il mio volo ma non so dove andare. Il respiro bloccato in gola, volgo lo sguardo in ogni direzione ma non vedo nulla.
Perso nelle spire nebbiose, vedo improvvisamente davanti a me una roccia e mi abbraccio a questa come un naufrago tra le onde si aggrapperebbe ad un relitto galleggiante. Aderisco completamente con tutto il mio corpo a quell’appiglio tanto bramato mentre ansimo cercando di recuperare me stesso e la mia calma.
Quando sento che il mio cuore ha ricominciato a pulsare ad una velocità normale apro gli occhi cercando di capire dove sono. Le brume si allargano lentamente rivelandomi che sono aggrappato alla cima di un promontorio e davanti a me si allunga una terra verdeggiante la cui parte più lontana è ancora avvolta dalle nebbie.
Comincio a scendere dalla cima, più vado verso il basso e più le rocce sono mischiate a morbida terra in cui il mio piede affonda. Avvicino il mio volto a quelle zolle e mi accorgo che quelli che credevo arbusti sono in realtà alberi in miniatura e in mezzo a loro ogni tanto una minuscola casetta grande come la mia mano.
Più scendo verso valle e più gli alberi si ingrandiscono e così tutto il resto fino a che, quando sono alle pendici del monte, la casa che mi si para davanti e grande a sufficienza perché io possa entrarci. Una casa di campagna, con il tetto di paglia, come quelle del nord Europa.
La porta è aperta. Entro, sento le voci. Le seguo. Entro nella stanza dove molte persone stanno festeggiando qualcosa e non badano a me. Mi sento sollevato e cerco acqua da bere. Una mano si allunga verso di me con un bicchiere pieno, fresco ed invitante.
Mi giro. E’ lei.

I puntata. Catherine era da tempo che non andava a trovare la sua amica Ellen in campagna, forse da più di dieci anni, da quando aveva divorziato dal marito. In effetti, forse per quel motivo. Non poteva sopportare di trovarsi a contatto con una famiglia ancora felice, con bambini cane e gatto, il tutto circondato dalle aspre, ma affascinanti colline dello Yorkshire. Un antico casale su tre piani con le finestre rosse e un giardino che in realtà sembrava un parco, immense distese di brughiera che affacciavano dalla finestra, una distesa brulla che in inverno si confondeva all’orizzonte con la foschia azzurrina del cielo mattutino...questa l’ultima cartolina, l’intensa immagine che ha ancora negli occhi. Però ora era arrivato il momento, si sentiva nuovamente forte e pronta per affrontare l’amica con la sua vita placida e tranquilla, da “casa nella prateria”. Le indicazioni ricevute da suo marito, perché l’amica Ellen non ha ancora capito dove abita, sono piuttosto dettagliate ma preferisce in ogni caso viaggiare con la luce del giorno, decide quindi di partire verso le cinque del pomeriggio. Mentre è in macchina imbottigliata nel traffico e nei super alcolici mignon ripensa malvolentieri alla sua vita da single divorziata. È stufa, ci vorrebbe un uomo “vero” accanto, che si prenda un po’ cura di lei. Basta con avventure senza senso e tanto sesso! Vuole innamorarsi nuovamente…ma di chi? Quale uomo sopra i quarant’anni, bello, disponibile, ricco, intelligente e affettuoso è ancora solo? Se esiste è divorziato con figli, quindi anche lui con una vita bruciata, piena di dolori, odi, doveri e responsabilità verso l’ex moglie, in pratica un nevrotico, isterico, pedante e forse represso. Se invece è single, probabile che abbia qualche problema d’instabilità emotiva, o d’identità, o è uno sfigato pazzesco, o peggio impotente. Ad ogni modo è uscita dalla città finalmente e si prepara a prendere l’autostrada. Il bigliettino su cui ha appuntato le indicazioni è scritto male e di corsa, nemmeno lei capisce tanto bene quale uscita deve prendere, la prima, la seconda o la terza? Vada per la terza, almeno se sbaglia può tornare indietro. Dopo tre ore di viaggio abbondante si ritrova in aperta campagna ma nessuna indicazione precisa, solo una successione di paesi con nomi similari e neanche un’anima. Il buio è sceso da un pezzo e ha pure iniziato a piovere.


“...Arriva un momento... un momento nella vita di ogni uomo, in cui la relazione tra spazio e tempo... non ha più importanza... Succede quando si raggiunge un livello di coscienza più elevato... o quando – per i comuni mortali – sta sopraggiungendo la fine.Per me non ha più importanza... Da quando non so... diventa difficile ricordare e forse non serve: ogni dettaglio, comunque, è riportato in questo diario di bordo. Certo, ci sono gli strumenti a registrare ogni cosa, persino le variazioni del mio respiro e del mio battito cardiaco, ed il comandante di una nave ha ben altre questioni di cui occuparsi ma, trasferire il proprio resoconto del viaggio al diario di bordo, significa lasciare qualcosa di diverso dalla fredda registrazione degli strumenti ed io cerco di essere molto scrupoloso in questo, ecco perché ogni giorno alla stessa ora, puntuale, come adesso, mi trovo a confidare ogni osservazione e strategia, ogni mio pensiero a questa macchina...: diventa un racconto a volte intenso e carico d’umanità... il racconto della debolezza dell’uomo... Per svolgere al meglio il mio ruolo e la mia missione, ho esercitato il distacco dalle passioni e questo mi ha consentito di mantenere il controllo sulle situazioni più difficili, salvando così il mio equipaggio, riportando ogni volta la nave a casa... Le emozioni, prima o poi, offuscano le menti, anche dei più valorosi... fino a perderli tutti... Nessuno si è salvato, nessuno tranne me..jpg)




