lunedì 27 luglio 2009
NEMESI ATIPICA (parte 3 di 3) di Pasquale Bruno Di Marco
«Ride, ride sempre, parlo e ride, sto zitto e ride, mi guarda e ride. Quanto è scemo. Scemo e stronzo. Mi sfotte in continuazione. Con questa storia del pronto soccorso poi, si sta divertendo come un matto. Io soffro e lui ride.
Sono ancora tutto acciaccato dopo dieci giorni, sento tutti i muscoli indolenziti, anche perché quell’infermiera m’ha tenuto fasciato così stretto. Meno male che poi ha dato retta a quel medico, anche se lei dice che è un cretino, anzi che tutti gli uomini sono cretini.
Chissà che storie avrà avuto. E quanto deve avere sofferto. E quanto avranno sofferto quei cretini che stavano con lei. Magari fasciava stretti pure loro. Però è carina.
Un po’ pazza, ma chi non lo è? »
«Mario non lo è.
Mario è proprio scemo e pure stronzo. Ma ve l’ho detto che tartaglia? Ci mette mezz’ora a dirmi una battuta cattiva su di me. Un po’ perché balbetta e un po’ perché ride in continuazione. Mi da così ai nervi che lo ammazzerei. Ma come? Io prendo su di me l’incarico fondamentale di portare la giustizia divina nel mondo e quello mi prende per i fondelli? E va bene! Sarà lui la mia prossima vittima. »
«O meglio la prima visto che gli altri tentativi non sono andati come dovevano. Sfortuna, perché le trappole hanno funzionato come previsto, solo sfortuna. Ma lui pagherà per tutte le prese per i fondelli che ho subito. Si, sta per pagare e so già come.»
«Ho studiato tutto, stavolta proprio tutto: arrivo al lavoro, i movimenti, i tempi. Mario arriva al lavoro alle 6,30 e subito si dirige spogliatoio, si toglie la giacca entra nel suo w.c. personale – personale perché nessun altro ha il coraggio di entrarci dopo che c’è stato lui – e ci rimane dai trenta ai quaranta minuti.
Poi viene in magazzino e fa sempre lo stesso giro, finge di controllare e di mettere a posto per circa trenta, trentacinque minuti, sparisce e ricompare alle 10,30 per la pausa, in cui fa colazione con quel beverone di un colore strano che realizza con polvere di liquirizia e acqua, almeno credo.
Problemi di fegato, dice lui.
Ma questo non gli impedisce di scroccarmi sempre le cose che sto mangiando.
Ogni volta che mi vede masticare qualcosa mi chiede sempre cosa è e se ne ho anche per lui, e quando lo dice fa la faccia da cane bastonato e zoppica pure.
E’ l’unico momento in cui lo fa, mai visto zoppicare in altre occasioni, anzi, se gli serve, corre come un disgraziato.
Ma ho scoperto che soffre anche di cuore e quindi potrei fare in modo di dargli qualcosa che aggravi la sua situazione e lo porti a lasciare questa valle di lacrime.
Ho letto che il medicinale che prende mia nonna può essere letale anche per chi non ha alcun problema di salute, per lui basterebbero poche gocce.
L’organismo lo assorbe completamente e quindi non ne rimarrebbe traccia. Il delitto perfetto. Ci vuole l’occasione giusta.
Potrei farmi vedere che mastico sempre le gomme senza zucchero, queste tipo confetto che fanno pure bene ai denti. Per lui è un’esca irresistibile, sicuramente me la chiederà ed io avrò preparato un altro pacchetto pieno di gomme appositamente preparate con il medicinale di nonna.
Pacchetti uguali ma con una tacca su quello predisposto, che posso avvertire al semplice tocco, così, quando lui me la chiederà davanti agli altri, io infilerò la mano in tasca e prenderò quel pacchetto con le gomme “trattate” e… alè, la missione sarà compiuta.»
«Ho scelto queste che danno pure l’alito profumato, le mastico tutto il giorno tanto che il capo ormai mi chiama “il ruminante”. Sono due giorni e ancora non me ne ha chiesta una!
Che stia male?
Eppure le sue abitudini sono invariate.
Colazione alla stessa ora, con lo stesso beverone. Forse dovrei metterlo lì il veleno, anche se, con quel colore che esce fuori quando lo prepara sembra già una pozione adatta per ammazzare i cristiani. Magari basta concentrarmi e sperare che gli ingredienti facciano effetto.
Così sarebbe un suicidio però e come serialkiller farei una figura del cacchio. Sono pronto comunque anche all’alternativa di lasciare cadere poche gocce nel beverone.
Stamattina rispetta i tempi in modo perfetto: 30 minuti di bagno, 30 minuti di finto lavoro e ora è sparito, ricomparirà tra 3 minuti, alle 10,30, per prepararsi il beverone.
E quindi ho fatto bene oggi a portarmi la boccetta del veleno per mischiarlo agli ingredienti che usa. Almeno la pianterò di masticare le gomme del pacchetto buono.
Anzi dei pacchetti buoni visto che ne ho consumato almeno 3 in 2 giorni, sempre attento a non prenderlo dal pacchetto “trattato” che invece sta qui nella tasca ancora integro.
Eccolo qui in tasca lo sento.
Mah? Come mai è aperto?... come è possibile?... cavolo! stamattina ho comprato uno nuovo che ho appena aperto, oh no! È questo quello con la tacca, allora …ho in bocca la gomma “trattata”… ma allora… mi sono avvelenato!… oddio mi… sento male… aiuto… mi… sento... »
«Di nuovo qui allora.»
«Aiuto, mi sono avvelenato… aiuto.»
«Ti ricordi di me? Ci vediamo spesso ultimamente.»
«Si, certo, tu sei l’infermiera Giovanna e io sto morendo.»
«Stai calmo ti stiamo controllando. Sei arrivato qui svenuto con la bava alla bocca, ti ha portato il tuo collega, quello che tartaglia. Ma sta sempre a masticare gomme quello? Ora faremo una bella la lavanda gastrica, ti infilerò questo bel tubicino giù per la gola e ti daremo una bella pulita alla tua pancia e tutto quello che c’è dentro verrà fuori e non ti farà male. Capito?»
«Si, cioè ma…»
«Buono, ci penso io.»
«Urgh!»
«Bravo, sei stato molto bravo. Non ti lamenti mai, veramente dai soddisfazione ad una come me che ci mette passione in quello che fa.»
«Grazie, Giovanna, posso… posso chiamarti così?»
«Certo, puoi chiamarmi Giovanna quando parliamo da amici, ma quando sono nell’adempimento delle mie funzioni chiamami signora Giovanna, serve rispettare i ruoli.»
«Ah!... va bene, signora Giovanna.»
«Bravo. Ed ora per stare sicuri, per essere certi che non ci sia più niente nel pancino ti farò un bel clistere.»
«Eh, ma…»
«Chiudo la porta a chiave non ti preoccupare. Non entrerà nessuno.»
«Ah! Si cioè … meglio, credo.»
«Bravo piccolino che non si ribella. Ho capito sai, non c’è più bisogno che fingi con me. Anche tu hai capito per questo contini a farti male.»
«Come… cosa hai capito tu e… cosa avrei capito io?»
«Che ti sei innamorato di me, piccolino. Ma non c’è più bisogno che ti inventi queste scuse per potermi incontrare, io ti ho capito, ti guardo negli occhi e so cosa vuoi da me.»
«Oh, si, cioè, io ti ho pensato spesso, dalla prima volta che ti ho incontrata qui al pronto soccorso…»
«E ho capito subito che eri diverso da tutti gli altri. E me lo hai dimostrato assecondandomi sempre senza ribellarti, non come hanno fatto tutti gli altri finora che non sapevano accettare me e il loro ruolo.»
«Sì, io voglio assecondare tutti i tuoi desideri, tutte le tue aspirazioni e inol…»
«E poi mi hai dimostrato di saper soffrire.»
«Eh si, il rapporto sano come dicevamo l’altra volta lo richiede.»
«Rapporto sano, sì, è vero, anche se non secondo i canoni comuni, ma in realtà il nostro sarà più naturale degli altri.»
«Naturale?… cioè ho capito bene tu ed io insieme, cioè tipo innamorati?»
«Più che innamorati, piccolino, noi ci combiniamo perfettamente, siamo concavi e convessi. La mia deviazione, la presunta deviazione secondo i canoni ufficiali della normalità è compensata, anzi, è perfettamente armonizzata dalla tua.»
«Cioè… intendi dire che noi siamo fatti l’uno per l’altra?»
«Sì, amore mio. Nessuno finora mi aveva accettata per quella che sono. Chiunque mi è stato vicino è fuggito, anche chi aveva provato pur conoscendomi non ha resistito molto, forse pensava, sperava di cambiarmi.»
«Io non desidererò mai cambiarti.»
«Lo vedo nei tuoi occhi, mio docile tesoro.»
«Io ti amo e ti vorrò sempre tanto, tanto, tanto bene.»
«Anche io ti amo, piccolino, e ti farò sempre tanto, tanto, tanto male.»
fine
(pubblicato in data 27 luglio 2009)
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