Braccioforte è mio tutore da quando all'età di otto anni mi prese a lavorare con se. Ricordo il volto di mia madre, fu sicuramente lei la persona della mia famiglia che vidi per ultimo, mi prese per mano e mi accompagnò fino alla strada. Braccioforte mi fece salire sul carro dicendomi: «Ragazzo, vedrai ti troverai bene. Saluta tua madre». Girandomi, vidi che aveva tirato sulla testa lo scialle, non vedevo il suo viso. Fissai quella figura immobile fino a che non scomparve alla mia vista. Non sono mai tornato.
Facciamo la spola tra il nord ed il sud del paese. Il viaggio dura un anno esatto ed ad ogni primavera torniamo nel suo paese di origine. Questa primavera al ritorno, festeggeremo il matrimonio dell'ultima figlia di Braccioforte. La famiglia di Braccioforte io l'ho vista sette volte, ora ho quindici anni.
Stiamo per entrare nel paese di Orospina dove, come ogni anno, scambieremo lana con grano. Ci stanno aspettando, i bambini ed i giovinetti ci corrono a fianco, il nostro cavallo Biadasecca prosegue sicuro, come un uccello migratore riconosce le sue rotte. Ci fermiamo nella piazza al centro del paese, la gente comincia a radunarsi intorno a noi.
Braccioforte ed io abbiamo cominciato ad urlare dalle porte del paese, dando il tempo alla gente di spargere la voce. "Mercanti, mercanti. I mercanti, son tornati!"
Ad Orospina, la gente è cordiale e si fanno dei buoni affari. Di solito ci fermiamo tre giorni. Non faccio amicizia con i ragazzi e la ragazze della mia età loro mi guardano con diffidenza. Poco dopo esser arrivati in una città, il prete viene a darci il benvenuto. Raccomanda a Braccioforte di passare in chiesa e di portare anche me, «Il ragazzino come non deve crescere senza Dio». Gli raccomanda di essere un buon padre e di insegnarmi le preghiere. Il Prete a questo punto, mi guarda e mi chiede se conosco i dieci comandamenti. Io rispondo: «Settimo, non rubare». E questo pare bastargli, quando ero più piccolo mi accarezzava la testa, da qualche anno mi da un piccolo schiaffo sulla guancia.
Ho una vera passione, in ogni grande città in cui passiamo io cerco la bottega dell'orologiaio e compro orologi da taschino e pendole da muro. Nei paesini poi li rivendo. Mi capita anche di scambiarli ogni tanto. Quando trovo dei pezzi davvero belli non me li faccio scappare, ho un dono, riconosco l'affare. Un anno fà un vecchio ad Orospina mi portò la sua splendida pendola da muro per scambiarla con un orologio da taschino, doveva intraprendere un lungo viaggio e gli serviva un orologio più tascabile. Se non bastò l'aspetto particolare di quell'aggeggio a convincermi, la finezza degli ingranaggi interni non mi lasciò dubbi, quello era un capolavoro. Solo molte città dopo, lucidando la superficie esterna dell'orologio mi accorsi di quel segreto, una delle figurine intagliate del decoro si poteva premere e lasciava scattare un minuscolo cassettino che conteneva ben fissata al fondo una chiave d'oro. Per un anno ho cercato di immaginare cosa aprisse quella chiave, ho osservato ogni chiave incontrata per valutarne somiglianza ed uso. Da orologiai esperti ho cercato di farmi dire la provenienza di quella pendola speciale.
Tutti gli indizi mi riportarono quì. Domani ripartiamo, sono riuscito a sapere dove abitava il vecchio. Braccioforte dorme ed io mi trovo a percorrere vicoli deserti verso una vecchia casa al margine del paese, mi dicono disabitata da quando è partito il vecchio. La luna illumina la strada e le ombre. La casa è piuttosto grande, la sua sagoma si staglia in un giardino lasciato andare in rovina, mi faccio strada tra i rovi per avvicinarmi alla porta principale. Mi avvicino con discrezione e provo a far ruotare la maniglia è aperta, la spingo con cautela, dà su un grande salone in cui si intravede una scala centrale che porta la piano superiore e lateralmente altre porte. Da una di queste sembra provenire una luce, come di una candela o di un fuoco acceso. Il cuore mi batte, non sono coraggioso ma non riesco a non entrare. Nella luce fioca della stanza intravedo una figura avvolta in un mantello seduta vicino al fuoco che arde lento nel camino. «Ben arrivato ragazzo». Mi dice il vecchio. Continuo ad avvicinarmi al fuoco ed al vecchio. Quando gli arrivo vicino allungo le mani per scaldarmi e mi giro a guardarlo in volto.
E’ il vecchio della pendola non c’è dubbio. «Ti ricordi di me ragazzo? Ti aspettavo».
Non riesco a dir nulla, estraggo la mano dalla tasca e gli porgo la chiave d’oro.
Prendendo la chiave dalle mie mani, abbassa la testa come a confermare qualcosa, si alza e mi fa' cenno di seguirlo. Saliamo lungo la cigolante scala che porta la piano superiore percorriamo tutto il corridoio pieno di porte chiuse e ci fermiamo in fondo, davanti ad una porta più alta e stretta delle altre. Il vecchio infila la chiave spinge la porta per aprirla e si fa' di lato.
Entro solo, i miei occhi si abituano pian piano alla poca luce. Nella stanza diverse persone sono disposte vicino ad un letto come per una veglia, una in disparte è seduta su una sedia. «Sei tornato figlio mio, veglio il tuo ritorno dal giorno che sei partito. Sei tornato in tempo. Come sei cresciuto. Ti sei fatto quasi un uomo». Resto senza parole, combattuto tra rabbia e lacrime. Ha il viso scavato, l’unico gesto che mi vien da fare è posarle una mano sulla spalla, che comincia a scuotersi. «Perdonami, perdonami, perdonami». La testa mi gira, ho la sensazione di cadere a terra. «Si, madre ti perdono». Mormoro.
L’aria fresca del mattino mi sveglia. Mi sorreggono le braccia forti del mio tutore, sono sul carro. «Tutto bene ragazzo?». Accenno ad un si con la testa. «Un vecchio mi ha svegliato e detto dove potevo trovarti, che ci facevi davanti a quella casa». «Ho fatto un sogno, ero tornato a casa per farmi abbracciare da mia madre. Credo per l’ultima volta».
«Tutto bene ragazzo?». Abbasso la testa in segno di assenso.
Solo questo si riesce a leggere nel diario che ho trovato.
Facciamo la spola tra il nord ed il sud del paese. Il viaggio dura un anno esatto ed ad ogni primavera torniamo nel suo paese di origine. Questa primavera al ritorno, festeggeremo il matrimonio dell'ultima figlia di Braccioforte. La famiglia di Braccioforte io l'ho vista sette volte, ora ho quindici anni.
Stiamo per entrare nel paese di Orospina dove, come ogni anno, scambieremo lana con grano. Ci stanno aspettando, i bambini ed i giovinetti ci corrono a fianco, il nostro cavallo Biadasecca prosegue sicuro, come un uccello migratore riconosce le sue rotte. Ci fermiamo nella piazza al centro del paese, la gente comincia a radunarsi intorno a noi.
Braccioforte ed io abbiamo cominciato ad urlare dalle porte del paese, dando il tempo alla gente di spargere la voce. "Mercanti, mercanti. I mercanti, son tornati!"
Ad Orospina, la gente è cordiale e si fanno dei buoni affari. Di solito ci fermiamo tre giorni. Non faccio amicizia con i ragazzi e la ragazze della mia età loro mi guardano con diffidenza. Poco dopo esser arrivati in una città, il prete viene a darci il benvenuto. Raccomanda a Braccioforte di passare in chiesa e di portare anche me, «Il ragazzino come non deve crescere senza Dio». Gli raccomanda di essere un buon padre e di insegnarmi le preghiere. Il Prete a questo punto, mi guarda e mi chiede se conosco i dieci comandamenti. Io rispondo: «Settimo, non rubare». E questo pare bastargli, quando ero più piccolo mi accarezzava la testa, da qualche anno mi da un piccolo schiaffo sulla guancia.
Ho una vera passione, in ogni grande città in cui passiamo io cerco la bottega dell'orologiaio e compro orologi da taschino e pendole da muro. Nei paesini poi li rivendo. Mi capita anche di scambiarli ogni tanto. Quando trovo dei pezzi davvero belli non me li faccio scappare, ho un dono, riconosco l'affare. Un anno fà un vecchio ad Orospina mi portò la sua splendida pendola da muro per scambiarla con un orologio da taschino, doveva intraprendere un lungo viaggio e gli serviva un orologio più tascabile. Se non bastò l'aspetto particolare di quell'aggeggio a convincermi, la finezza degli ingranaggi interni non mi lasciò dubbi, quello era un capolavoro. Solo molte città dopo, lucidando la superficie esterna dell'orologio mi accorsi di quel segreto, una delle figurine intagliate del decoro si poteva premere e lasciava scattare un minuscolo cassettino che conteneva ben fissata al fondo una chiave d'oro. Per un anno ho cercato di immaginare cosa aprisse quella chiave, ho osservato ogni chiave incontrata per valutarne somiglianza ed uso. Da orologiai esperti ho cercato di farmi dire la provenienza di quella pendola speciale.
Tutti gli indizi mi riportarono quì. Domani ripartiamo, sono riuscito a sapere dove abitava il vecchio. Braccioforte dorme ed io mi trovo a percorrere vicoli deserti verso una vecchia casa al margine del paese, mi dicono disabitata da quando è partito il vecchio. La luna illumina la strada e le ombre. La casa è piuttosto grande, la sua sagoma si staglia in un giardino lasciato andare in rovina, mi faccio strada tra i rovi per avvicinarmi alla porta principale. Mi avvicino con discrezione e provo a far ruotare la maniglia è aperta, la spingo con cautela, dà su un grande salone in cui si intravede una scala centrale che porta la piano superiore e lateralmente altre porte. Da una di queste sembra provenire una luce, come di una candela o di un fuoco acceso. Il cuore mi batte, non sono coraggioso ma non riesco a non entrare. Nella luce fioca della stanza intravedo una figura avvolta in un mantello seduta vicino al fuoco che arde lento nel camino. «Ben arrivato ragazzo». Mi dice il vecchio. Continuo ad avvicinarmi al fuoco ed al vecchio. Quando gli arrivo vicino allungo le mani per scaldarmi e mi giro a guardarlo in volto.
E’ il vecchio della pendola non c’è dubbio. «Ti ricordi di me ragazzo? Ti aspettavo».
Non riesco a dir nulla, estraggo la mano dalla tasca e gli porgo la chiave d’oro.
Prendendo la chiave dalle mie mani, abbassa la testa come a confermare qualcosa, si alza e mi fa' cenno di seguirlo. Saliamo lungo la cigolante scala che porta la piano superiore percorriamo tutto il corridoio pieno di porte chiuse e ci fermiamo in fondo, davanti ad una porta più alta e stretta delle altre. Il vecchio infila la chiave spinge la porta per aprirla e si fa' di lato.
Entro solo, i miei occhi si abituano pian piano alla poca luce. Nella stanza diverse persone sono disposte vicino ad un letto come per una veglia, una in disparte è seduta su una sedia. «Sei tornato figlio mio, veglio il tuo ritorno dal giorno che sei partito. Sei tornato in tempo. Come sei cresciuto. Ti sei fatto quasi un uomo». Resto senza parole, combattuto tra rabbia e lacrime. Ha il viso scavato, l’unico gesto che mi vien da fare è posarle una mano sulla spalla, che comincia a scuotersi. «Perdonami, perdonami, perdonami». La testa mi gira, ho la sensazione di cadere a terra. «Si, madre ti perdono». Mormoro.
L’aria fresca del mattino mi sveglia. Mi sorreggono le braccia forti del mio tutore, sono sul carro. «Tutto bene ragazzo?». Accenno ad un si con la testa. «Un vecchio mi ha svegliato e detto dove potevo trovarti, che ci facevi davanti a quella casa». «Ho fatto un sogno, ero tornato a casa per farmi abbracciare da mia madre. Credo per l’ultima volta».
«Tutto bene ragazzo?». Abbasso la testa in segno di assenso.
Solo questo si riesce a leggere nel diario che ho trovato.
IMMAGINE REALIZZATA DA PAOLA ACCIARINO ...:)
RispondiEliminaQuesto racconto rileggendolo così... ha un finale che mi suona di già sentito. Devo dire ad
RispondiEliminaAnna, che deve assolutamente cambiarlo!
vediamo che dice questo blog
RispondiEliminaCiao, provvederò al più presto!
RispondiEliminaciao Anna
anna , parli da sola? ...:)
RispondiElimina... sai in mezzo alla gente faccio finta di telefonare, ma qui mi avete scoperto subito!
RispondiEliminalo facciamo tutti, ma non dirlo a nessuno ...:)
RispondiEliminaio sento le voci...:)
RispondiEliminaciao giovanna... :)
RispondiEliminaEccomi quì anch'io! Devo dire che il racconto, nella versione più corta, lasciava spazio a più interpretazioni ed io, per l'illustrazione, forse ho scelto quella che c'entrava meno. Con l'"extended version" non c'azzecca quasi per niente... però, un po' sì, dai... (sto cercando di convincermi da sola) ;)
RispondiEliminaI giorni festivi sono impegnativi quanto quelli feriali se non di più. Ho bisogno di rileggerti e poi mi farò sentire... Profumo.
RispondiEliminaMa tra i collaboratori manco solo io? Un impegno di meno :-)
Mi hai convinta!
RispondiElimina=)
aldo
RispondiEliminaho inviato l'invito anche a te naturalmente il 19
però non hai risposto
te l'ho inviato di nuovo oggi
non solo collaboratore comunque... :)
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaInizialmente mi ha ridato l'immagine collodiana di un Pinocchio e Mangiafuoco per il triste saluto e il girovagare che ricorda quello circense. Una favola, una storia d'altri tempi che diventa molto di più col crescendo del finale. Mi è piaciuta molto l'idea...
RispondiEliminaGrazie, Aldo.
RispondiEliminaL'ho immaginato un racconto per ragazzi.
Nella versione lunga è diventato un racconto che parla di un viaggio attraverso al vita, che svela un mistero (nell'altra versione rimaneva indefinito, quella chiave poteva aprire mille porte). Qui si consuma un rituale dipassaggio verso la vita adulta. La liberazione dai tradimenti e dalle delusioni. Mi sembra ispiri fiducia nel futuro no?
Sì, c'era la favola per ragazzi seppure forte e amara per certi aspetti e... Ma c'era la durezza della vita e la crescita dei/del ragazzo nonché gli errori e spesso, l'insensibilità, la mancanza di insegnamento degli adulti a favore degli... interessi.
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