Il bello di questo lavoro è che mi fa girare l’Italia. A volte vedo dei paesi di cui non avrei mai immaginato neanche l’esistenza, come Castelvetrano. Un'unica strada deserta dove le sole figure umane che appaiono sono coppie di vecchiette imbalsamate, vestite di nero, sedute davanti alla porta di casa. Passeggiando per il corso ho la strana sensazione che da un momento all’altro i loro occhi possano cominciare a sputare fuori scarlatti raggi di fuoco, carbonizzandomi. Come Tifone.
Una coppia d’anziani gioca concentrata a scopa fumando il sigaro. Passo inosservata. Neanche l’ombra di un giovane, sembra si siano tutti teletrasportati altrove, forse per salvarsi dalla malinconia. Mi avvio verso l’unico albergo disponibile, un tre stelle da denuncia alla guida Michelin, al terzo piano senza ascensore. Cerco di comunicare con il portiere dietro il bancone che sta masticando uno stecchino, un residuato della cena di qualche ora fa, senza grande successo. Lo sguardo non si scolla dal televisore sopra la mensola con donnine seminude che ballano. Effettivamente a ragione, hanno dei bei sederi.
Il classico colpo di tosse lo attira a me, ma solo per un istante. Mi adeguo e accetto le chiavi di qualcosa che spero abbia almeno un giaciglio per distendere le mie ossa stanche. Poso la valigia nella camera che per fortuna ha un letto, una sedia e un tavolino, nonostante ciò riesco in ogni caso a dubitare delle mie scelte lavorative. Uno scarafaggio mi taglia la strada e il piccolo lavandino che goccia situato nell’angolo mi fa pregustare l’insonnia.
Mi guardo attorno, ascoltando il vuoto siderale, ma ho il dubbio che non provenga dall’eco della stanza vuota. Mi spoglio contando i peli che si rizzano sulle braccia e mi ficco sotto le coperte ghiacciate. Provare a lamentarsi con la direzione per la mancanza di riscaldamento a dicembre sarebbe tempo perso. Probabilmente non risponderebbero nemmeno, anche loro incollati al tubo catodico. Provo ad applicare la mia conoscenza yogica e meditativa per cercare di immaginare il mio corpo prendere fuoco, cominciando dai piedi, ma neanche all’altezza del terzo chakra sono già semi-assiderata. Meglio una bella corsa sul posto.
Mentre saltello scompostamente cerco di non farmi domande che potrebbero mettermi in serio imbarazzo. Raggiunta un’adeguata temperatura corporea, scomparso il colore bluastro dei miei arti, riprovo a stendermi sul letto, ma gli occhi si fissano su quell’unica immagine attaccata al muro, la Madonna Addolorata col cuore in mano, che invece a me consola. Sono sola è vero, ma c’è sempre chi sta peggio. Ognuno fa come può. Io per esempio per finire qui mi ci sono messa d’impegno.
Aggrottando la fronte mi sforzo di chiudere gli occhi, se non altro per dimenticare questa stanza d’albergo, che sta rendendo sempre più instabile e traballante il mio credo artistico. Tutto questo non l’avevo messo in conto, colpa mia. Lo dovevo dedurre alla firma del contratto, quando mi hanno concesso solo la paga minima sindacale. E ho dovuto perfino ringraziare, perché c’è chi sta a casa! Strano mestiere questo, devi pregare per lavorare e ringraziare perché ti affamano e in molti casi, mostrare pure una certa gratitudine e simpatia al datore di lavoro, nella speranza si ricordi di te alla stagione successiva.
Una tripla fatica senza ferie pagate. Poi se ci riesci, emergi finalmente, hai successo, si stupiscono di quanto sei cambiata…dai solo pan per focaccia, psicologia spicciola. Occhio per occhio, dente per dente. I miei hanno ballato abbastanza, ma si sono solo spezzati. Adesso è meglio provare a dormire, domani mi aspettano altri chilometri, naturalmente con la mia macchina in cambio di un forfetario rimborso benzina calibrato su una comune utilitaria. Io ho un golf gt cabrio ad iniezione. Ma non ho colpe, è stato il buonuscita di un mio ex fidanzato. Pensava di farmi un favore…
Mi giro e mi rigiro nel letto fino a tardi, tanto alla fine so che solo un unico pensiero mi tranquillizzerà lasciandomi addormentare serenamente: domani debutterò a Catania…forse lì andrà meglio.
Una coppia d’anziani gioca concentrata a scopa fumando il sigaro. Passo inosservata. Neanche l’ombra di un giovane, sembra si siano tutti teletrasportati altrove, forse per salvarsi dalla malinconia. Mi avvio verso l’unico albergo disponibile, un tre stelle da denuncia alla guida Michelin, al terzo piano senza ascensore. Cerco di comunicare con il portiere dietro il bancone che sta masticando uno stecchino, un residuato della cena di qualche ora fa, senza grande successo. Lo sguardo non si scolla dal televisore sopra la mensola con donnine seminude che ballano. Effettivamente a ragione, hanno dei bei sederi.
Il classico colpo di tosse lo attira a me, ma solo per un istante. Mi adeguo e accetto le chiavi di qualcosa che spero abbia almeno un giaciglio per distendere le mie ossa stanche. Poso la valigia nella camera che per fortuna ha un letto, una sedia e un tavolino, nonostante ciò riesco in ogni caso a dubitare delle mie scelte lavorative. Uno scarafaggio mi taglia la strada e il piccolo lavandino che goccia situato nell’angolo mi fa pregustare l’insonnia.
Mi guardo attorno, ascoltando il vuoto siderale, ma ho il dubbio che non provenga dall’eco della stanza vuota. Mi spoglio contando i peli che si rizzano sulle braccia e mi ficco sotto le coperte ghiacciate. Provare a lamentarsi con la direzione per la mancanza di riscaldamento a dicembre sarebbe tempo perso. Probabilmente non risponderebbero nemmeno, anche loro incollati al tubo catodico. Provo ad applicare la mia conoscenza yogica e meditativa per cercare di immaginare il mio corpo prendere fuoco, cominciando dai piedi, ma neanche all’altezza del terzo chakra sono già semi-assiderata. Meglio una bella corsa sul posto.
Mentre saltello scompostamente cerco di non farmi domande che potrebbero mettermi in serio imbarazzo. Raggiunta un’adeguata temperatura corporea, scomparso il colore bluastro dei miei arti, riprovo a stendermi sul letto, ma gli occhi si fissano su quell’unica immagine attaccata al muro, la Madonna Addolorata col cuore in mano, che invece a me consola. Sono sola è vero, ma c’è sempre chi sta peggio. Ognuno fa come può. Io per esempio per finire qui mi ci sono messa d’impegno.
Aggrottando la fronte mi sforzo di chiudere gli occhi, se non altro per dimenticare questa stanza d’albergo, che sta rendendo sempre più instabile e traballante il mio credo artistico. Tutto questo non l’avevo messo in conto, colpa mia. Lo dovevo dedurre alla firma del contratto, quando mi hanno concesso solo la paga minima sindacale. E ho dovuto perfino ringraziare, perché c’è chi sta a casa! Strano mestiere questo, devi pregare per lavorare e ringraziare perché ti affamano e in molti casi, mostrare pure una certa gratitudine e simpatia al datore di lavoro, nella speranza si ricordi di te alla stagione successiva.
Una tripla fatica senza ferie pagate. Poi se ci riesci, emergi finalmente, hai successo, si stupiscono di quanto sei cambiata…dai solo pan per focaccia, psicologia spicciola. Occhio per occhio, dente per dente. I miei hanno ballato abbastanza, ma si sono solo spezzati. Adesso è meglio provare a dormire, domani mi aspettano altri chilometri, naturalmente con la mia macchina in cambio di un forfetario rimborso benzina calibrato su una comune utilitaria. Io ho un golf gt cabrio ad iniezione. Ma non ho colpe, è stato il buonuscita di un mio ex fidanzato. Pensava di farmi un favore…
Mi giro e mi rigiro nel letto fino a tardi, tanto alla fine so che solo un unico pensiero mi tranquillizzerà lasciandomi addormentare serenamente: domani debutterò a Catania…forse lì andrà meglio.
Fa un bell'effetto, questo alternarsi di racconti.
RispondiEliminaper Daniela: l'ho letto troppo di corsa. per lasciare commenti, lo rileggo con calma e lascio qualche mia impressione. ciao
Per certi artisti la vita è sempre stata così. E ancora oggi. Non come i nostri figli, i nostri giovani ai quali è stata tolta ogni velleità di pensare al proprio futuro - negli ultimi due decenni -, a meno che non sei… figlio di barone e similia. In qualche punto una ironia che mi ha fatto sorridere in maniera sorniona ma anche una scrittura tanta precisa da trasmettere nelle considerazioni, riflessioni, nella digressione che avvolge tutta la storia – ch’è solo una tappa – lo spirito che fa vivere l’artista e che lo sorregge anche e soprattutto nei momenti del bisogno, quando si avrebbe voglia di mollare tutto, le ali non voler più spiccare il volo.
RispondiEliminaEra difficile, in una scenografia demoralizzante, raccontare per introspezioni. Il racconto mi ha fatto ricordare il romanzo di Simona Vinci ‘Stanza 411’. Anche qui una donna fa una bilancio parziale, anche qui c’è un uomo anche se ‘partito’, anche qui il tempo è metronomo ma per il futuro la prossima tappa e non per un passato ormai da scordare perché anche qui in fondo c’è l’amore ma anche un mondo fatto di violenza, soprusi, ingiustizia.
Me lo sono gustato e spero di averlo capito.
grazie Aldo per il commento preciso e dettagliato, grazie davvero. mi riprometto di commentare anche io...sono rimasta un po' indietro. baci
RispondiEliminaciao, ho apprezzato il racconto e devo dire che confermo quello che già dicevo, la lettura del cartaceo è di gran lunga quella che preferisco.
RispondiEliminaIl tuo racconto mi ha guidato con immagini precise lungo le vie di un paesino, fin nell’interno dell’albergo 3stelle. Sai è qui che il racconto assume dei toni talmente drammatici da sembrare comici.
Tutto sembra, al lettore che osserva molto divertente. A mio avviso si coglie un lato ironico nella notte descritta in quella stanza d’albergo. Penso sia il punto di forza di tutto il racconto.