Telefonata molto disturbata, non ho capito dove fosse. La Direttrice del resto viaggia in continuazione. Minnie Phoottow si è sincerata che avessi organizzato tutto per essere a Milano il giorno dopo, per la sfilata di Dolce e Gabbana, mi ha salutato e subito dopo ha riagganciato. Mentre schiacciavo il pulsantino per chiudere la conversazione, ho avuto un pensiero.
«Ma io, come ci arrivo a Milano?» Come ho potuto dimenticare. Dovevo prenotare per tempo!
Alla ricerca di un volo! L’unico disponibile per Milano o dintorni, atterra a Bergamo. Poco male, parte la mattina presto, avrò tutto il tempo di raggiungere la passerella per l’ora fissata.
L’appuntamento con gli stilisti è nel pomeriggio, prima della presentazione ufficiale. Siamo d’accordo che sceglierò un capo della collezione con cui tornare a Roma. Le sarte fanno il miracolo, riadattano il capo in maniera meravigliosa, in 30 minuti trasformano una 38 per una modella alta un metro e novanta di cui più della metà sono gambe, in una 44 per una donna alta un metro e sessanta, con i tacchi. Non avete idea di cosa si provi a camminare per alcune ore tra creature che sono alte il doppio di te e ne pesano la metà. Tante tutte insieme e bellissime. “Ma, ricordiamo il nostro slogan: siamo l’abito che indossiamo. Noi, siamo bellissime!”
Punti di forza della collezione Dolce e Gabbana di quest’anno, primavera/estate 2009: tute colorate con alte righe orizzontali e grandi dettagli floreali.
Ho scelto un abito tuta. Aderente e lungo, a righe bianche e rosse. “Sobrio”, fascia il corpo ricadendo morbidamente. Completa l’abito, il cappello a falda larghissima, anch’esso a righe rosse. Floscio, ricade incorniciandomi l’intero busto come fosse uno scialle. Alla modella alta un metro e novanta arrivava sotto le scapole a me un po’, molto un po’, più giù. L’ampia falda è sollevata davanti a scoprire il viso. La sfilata inizia in ritardo e finisce tardissimo. Mi trattengo qualche minuto, giusto il tempo per ringraziare e salutare. Questo modello sembra ideale per chi deve lanciare la macchina nel traffico della sera in direzione dell’aeroporto, lasciarla parcheggiata in un parcheggio multipiano e prendere al volo un aereo. Ho pochissimo tempo. Il traffico che si dipana per le arterie sembra precedermi e seguirmi - imbottigliarmi. Fortunatamente il cappello aiuta a concentrare la vista frontalmente, non concede distrazioni: “Il vecchio sulla bici facesse un po’ d’attenzione, non ha visto che giravo a destra?”
«Si, si, inveisci pure, fiato sprecato non ti sento. Raggiunta una certa età si sentono i padroni del mondo!»
Un abito così lascia libera nei movimenti. Noi donne moderne, possiamo lanciarci nel fiume caotico della città, seguire le indicazioni per l’aeroporto, percorrere la strada che termina in un incrocio a cui, contro ogni buonsenso devi girare per forza a sinistra per immetterti in una strada a senso unico, adeguarti alla corrente e guadagnare la riva destra prima che si presenti la nostra uscita. Nascosta, ben bene, dal furgone che trasporta le mozzarelle di bufala. I clacson “ululano”: «E che caspita, ma non l’avete vista la freccia?»
“Prendiamoci il nostro spazio, care amiche! Il nostro abito ci aiuta, siamo quel che indossiamo”.
Ma non perdiamoci d’animo. Ecco li giù l’aeroporto. Imboccando l’ingresso del parcheggio multipiano. Ci sentiamo rinfrancate per aver scelto l’abito giusto, noi novelle pilota di formula traffico.
Ci avviciniamo alla colonnina di ingresso dove ritiriamo il nostro biglietto – non ci facciamo prendere dal panico. Non riusciamo ad infilarlo nell’apposita asola sul parasole? Lo conficchiamo, nella falda frontale del cappello – il nostro cappello.
Salde affrontiamo le salite del multipiano:
Piano primo - completo. Noi con ferma determinazione saliamo.
Piano secondo – completo. Noi con salda concentrazione saliamo.
Piano terzo – completo. Noi con sangue freddo continuiamo la salita, freniamo appena in tempo. Ma dove hanno spostato l’accesso? Facciamo manovra per imboccare la nuova rampa.
Piano quarto – completo. Imboccando la nuova rampa. Noi con rigore estremo, sterziamo con decisione facendo stridere, involontariamente, le ruote. Fanno un certo effetto, ci sentiamo un po’stuntman al femminile.
Piano quinto – completo. Noi, donne moderne con spirito critico, sporgendoci con enfasi dal finestrino, mandiamo bonariamente a quel paese l’autista del suv che scende dalla rampa guidando contromano.
Sempre, Piano quinto – Recuperiamo il controllo e ci dirigiamo verso l’unico posto libero, determiniamo il nostro diritto ad occuparlo lanciando con abile mossa il cappello che volteggia in aria descrivendo piroette, come fosse quello di Zorro. Gli altri autisti restano a bocca aperta e naso per aria. Noi parcheggiamo. Qualcuno fa anche i complimenti: «Hai visto quella?»
L’ascensore è rotto, cinque piani di scale a scendere trascinando la valigia. La tuta è fondamentale, non fosse per i tacchi che un paio di volte si infilano nel bordo della stoffa, quasi rotoliamo per le scale. Amiche, tutte le volte che possiamo, prendiamo l’ascensore!
La nostra missione si compie quando davanti allo sportello dell’autonoleggio troviamo tanti, che tornano in macchina a prendere il biglietto. Noi lo estraiamo dalla falda del nostro cappello, restituiamo documenti e chiavi. Caparbiamente, percorriamo il tratto che ci separa dal banco del check-in. Sventoliamo la prenotazione perché ci facciano passare, le folle si aprono come fosse il Mar Rosso. Non capisco proprio perché la signorina sia così insistente. Manifesto il mio disappunto, vuol farmi togliere il cappello ed imbarcarlo.
«In fondo può benissimo essere considerato un semplice bagaglio a mano.»
«Non entrerebbe nella cappelliera.» Dice.
Mi fa perder tempo e l’aereo. Prima di perder la pazienza. Cedo. A malincuore, lo imbarco.
Care Amiche, Dolce e Gabbana vi favoriscono negli spostamenti e per il parcheggio. Ma attenzione! in aereo, salite senza cappello.
Dalla vostra inviata Noemi Ciambella
(pubblicato in data 24 novembre 2009)
immagine di paola acciarino
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