martedì 10 novembre 2009
UN AMORE PICCOLO MA GRANDE di Daniela Rindi
Un vestitino verde a pois, sandali bianchi, il viso sempre imbronciato... così mi ricordo la bambina dagli occhi verdi e i capelli biondi spettinati, della quale mi innamorai a dieci anni. Lei ferma in mezzo alla piazza, i genitori a pochi metri.
Chissà perché era sempre arrabbiata?
Veniva a passare le vacanze in questo piccolo paese sulla riviera pontina, con uno strano nome, molto accattivante e mitologico, dove vivo tuttora.
Lei era del nord Italia.
I suoi genitori affittavano ogni anno la stessa casa, non lontano dalla mia, per cui riuscivo a controllarla in quasi tutti i suoi spostamenti. Sua madre la portava in spiaggia la mattina presto, seduta sul retro della bicicletta, le gambe ciondoloni, lo sguardo perso nel vuoto e rincasavano a pomeriggio inoltrato.
L’unico momento in cui potevo incontrarla da sola era prima di cena. Lei, normalmente scendeva per strada e cominciava a giocare con i gatti. Gattini randagi, che considerava suoi, come tutti i bambini.
Li aveva chiamati Minou, Matisse e Bizet, come gli Aristogatti. Non aveva amici, se anche ogni tanto qualcuno le si avvicinava, attirato dagli animaletti, lei lo demotivava velocemente, raccogliendo infastidita i suoi gattini, spostandosi in un altro posto.
L’unica persona che sembrava tollerare ero io, forse perché per nulla interessato al suo gioco.
Il cortile di casa mia era infestato da quei maledetti animali, che pisciavano ovunque lasciando una puzza insopportabile, trasformando quel luogo, a mala pena dignitoso, in un ghetto zozzo.
Un tardo pomeriggio d’agosto, in una giornata grigia, senza sole, eravamo assieme.
Passeggiando arrivammo ad un piccolo ponte, che attraversava un torrente in secca.
Ci mettemmo seduti per terra, lei iniziò a provocare, approfittando della mia debolezza.
Mi tirava piccoli sassi, allungandosi col collo per catturarmi una smorfia. Cercavo di nascondermi dietro al mio ciuffo rosso, guardando per terra, disegnando distrattamente piccoli cerchi con un bastoncino di legno. Mi imbarazzava sentire accelerare il battito del mio cuore. Ma non si delimita l’amore.
Si alzò di scatto, la seguii con lo sguardo, era altera e bella, i suoi capelli arruffati la coronavano come una principessa. Si appoggiò con i gomiti al muretto, guardò giù e mi disse:
«Per un mio bacio salteresti giù dal ponte?»
Deglutii l’eccesso di saliva e tentennando mi alzai anch’io. La fissai negli occhi, pregandoli di svelarmi la burla, ma non stava giocando, avevano l’aria di sfida.
«Solo un salto…»
Guardai giù, saranno stati almeno quattro o cinque metri!
Tutto il mio piccolo e insicuro mondo interiore era in subbuglio, come potevo deluderla, o mostrare a me stesso di essere un codardo?
E poi un bacio… quante notti avevo passato a sognarlo ad occhi aperti! Quante volte avrei voluto sussurrargli all’orecchio “io ti amo veramente”. Salii sul muretto, lei mi guardò impaurita, ma troppo tardi. Spiccai quel volo senza pensare, facendomi inghiottire dal vuoto, assaporando quegli istanti fatti di nulla. Un Angelo disposto a cadere per amore. Un Angelo stupido.
Quando ripresi i sensi avevo una caviglia fasciata e ancora un dolore atroce. Un capannello di gente non mi lasciava respirare. Con un braccio scansai una vecchia e grassa signora che mi sovrastava, la vidi… lei ferma in mezzo alla piazza, i genitori a pochi metri. Sono passati tanti anni, da quel tardo pomeriggio d’estate. Il bacio non lo ricevetti mai.
Ora sono un adulto, con meno capelli rossi e senza acne, sposato, con tre figli, divenuto Direttore Responsabile del miglior albergo di questa piccola cittadina sul litorale pontino, con uno strano nome, molto accattivante e mitologico. Sono soddisfatto.
Elisa, così si chiamava la bambina dagli occhi verdi e il viso sempre imbronciato, non l’ho più vista. I suoi genitori, a seguito di quell’ increscioso incidente, decisero di cambiare luogo di villeggiatura: la Sardegna. La persi per sempre.
Ma la notte ancora mi sveglio per l’inquietudine, a causa di una domanda che mi tormenta nella testa, rimasta senza risposta... Chissà perché era sempre arrabbiata?
(pubblicato in data 10 novembre 2009)
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