-Vi voglio raccontare una novella lieta, che annuncia una lieta novella!
Ripeteva Topino addentrandosi nel bosco "Senza Idea", con zaino in spalla e passo deciso. Era piccolo, un topo di campagna, con poche possibilità ma tanta voglia di riuscire. Aveva una missione da compiere, voleva raccontare una novella, non una qualsiasi, ma essere portavoce di una lieta novella. Perché ha deciso di fare questo viaggio ora io ve lo racconto.
Topino, viveva in un villaggio di topi senza nome, in un paese senza luogo, in un luogo senza tempo. Tutti sembravano non esistere, tranne lui. Parlavano, camminavano, compravano il pane, bevevano il caffé, giocavano in piazza, ma in realtà non comunicavano tra loro, come facessero parte di uno sfondo colorato, un fondale, dove la vita di Topino aveva il ruolo principale e anche tristemente unico.
Questa situazione durava da sempre, o da ieri, non si sa, perché tutti i giorni si ripetevano uguali, tutti i giorni erano senza memoria. Ma lui era Topino, sapeva di esistere e di vivere, mangiava, dormiva, sognava. Un giorno si svegliò con una voce che gli diceva…
-Topino, sveglia, sveglia, devi andare…devi portare la lieta novella.
Topino spaventato, perché nessuno aveva mai comunicato con lui, perché viveva in un posto che non c’era e con gente che non esisteva, rimase senza fiato.
-Cosa?…Come?…Chi sei?
La voce si fece silente per qualche giorno o per molti, non si sa, ma abbastanza da far pensare a Topino di essersi sbagliato e continuò a fare la vita di sempre, non parlare mai veramente, non incontrare mai nessuno veramente.
Eppure tutti esistevano, il panettiere, il falegname, il mastro, la maestra. Nessuno però scambiava un pensiero, un'idea, solo frasi di circostanza:
-Buongiorno signor panettiere, che bella giornata!
- Ma se lo dice lei! Io sono sveglio dalle tre del mattino!
- Buon giorno signora maestra!
- A lei signor Topino, ma ho tanti compiti da correggere, non mi faccia perdere tempo!
Il falegname lo liquidò con la stessa velocità, continuando a levigare lo stesso pezzo di legno!
-Ma quale novella dovrei raccontare?
Si continuava a domandare Topino.
-Non ho mai letto libri di favole e non me le hanno mai raccontate, neanche da piccolo, ammesso di esserlo stato! Che cosa ne so io, che non so ricordare neanche una barzelletta!
Domande, domande senza risposta.
-Forse mi sono perso una notizia sul giornale? Strano però, perché le notizie sono sempre le stesse, anche se il giornale lo compro ogni mattina!
Topino si stava perdendo d’animo. Una sera stanco e annoiato, già dimentico della voce, si mise a letto e lì la voce si fece risentire…e vedere! Apparve di fronte a se un’immagine poco nitida, talmente poco chiara che dovette mettersi gli occhiali! Si strofinò gli occhi, bevve un bicchiere d’acqua e la voce si fece risentire…
-Topino devi raccontare una novella, che annuncia una lieta novella.
Topino era scettico, sembrava solo un gioco di parole, ma voleva vederci più chiaro, scoprire cos’era quell’immagine che gli parlava in modo così enigmatico. Si alzò e si avvicinò all’immagine sfuocata, sperando di vederla svanire, ma più si avvicinava, più diventava reale. A un certo punto, fu così vicino che la toccò! Non poteva credere ai suoi occhi, l’aveva sempre vista sul suo comodino, immobile, era sempre stata lì, non sapeva neanche lui chi gliel’aveva messa e quando, ma aveva sempre sentito essere la sua foto… la foto di sua mamma!
Adesso era lì, di fronte a lui e poteva toccarla, sentire il suo odore. Non aveva mai “sentito” una mamma, il suo profumo, il suo calore, perché nel paese dove viveva, la realtà non esisteva veramente. Sapeva di buono, di casa, era tutto quello che, mancando, lo aveva fatto sentire molto solo fino a quel momento. Aveva sempre vissuto con l’immagine di lei in casa, ma nessuno l’aveva mai conosciuta realmente, nessuno le aveva mai parlato di lei. Una madre doveva averla avuta per forza, non era un orfano e qualcuno aveva lasciato traccia della sua storia sul comodino. Lui non si era mai posto tante domande.
Quanto è stato tutto così illusorio e finto fino a quel momento! Adesso che sua madre era lì di fronte e che gli parlava, parlava proprio a lui! Come era bella la sua voce, come gli si rivolgeva dolcemente. Le sue parole riempivano la stanza e il ghiaccio intorno al suo cuore si scioglieva piano piano, un monolite innalzato da tempo, in un luogo senza tempo. Gli raccontò tutta la sua storia, parlò tutta la notte, tutte le notti, non si sa. Le favole che gli narrò e che dimenticò, le carezze che gli diede e che lui rifiutò, la presenza attenta che disapprovò, tutto l'amore che aveva per lui e che allontanò. Sì, perché fu proprio lui ad allontanare sua madre dal suo cuore e così tutto il resto.
Aveva reso tutto finto, rifiutando l'amore. Lui aveva scelto di esistere da solo. La realtà finì per diventare, così, uno spazio immobile, dove tutti avevano ruolo di comparsa. Fu lì che la mamma gli assegnò la missione, portare la lieta novella, senza paura, con determinazione.
-Prendi lo zaino e parti. Sarebbe un vero peccato se non raccontassi a tutti questa storia, la tua storia, perché proprio questa è la novella lieta, che annuncia una lieta novella.
Così dicendo l'immagine svanì e non riapparse più.
Topino aspettò un giorno, un altro e un altro ancora, nella speranza di vedere tornare sua madre, che ahimé, non apparì più. Mentre si stava disperando, si accorse però di aver contato i giorni, calcolato il tempo. Non era mai accaduto prima! Corse fuori e comprò un giornale, tornò a casa e lo confrontò con quello vecchio. Aveva un'altra data! Allora il tempo stava diventando reale? Ricorse fuori, andava talmente forte che non vide la maestra attraversargli la strada. Ci fu un gran botto, tutti i fogli volarono per terra.
-Ahi che male!- disse topino rialzandosi a fatica e vide la maestra stesa a pancia in giù.
-Accidenti ho ammazzato la maestra!- urlò tentando di sollevarla.
Ma niente, non si muoveva. Allora, con un grande sforzo, la prese in braccio e se la portò a casa. Stravolto dalla fatica, la mise distesa sul letto, le preparò un latte caldo e le mise una pezza fredda sulla fronte. Dopo poco la maestra aprì gli occhi e sorrise a Topino.
-Grazie, grazie molte, se non fosse stato per te, sarei ancora distesa in mezzo alla strada, nessuno mi ha mai prestato tanta attenzione.
Guardò sul comodino.
-Quella è la tua mamma, vero? Mi ricordo adesso di lei, forse è stata la botta in testa…era una donna dolcissima e ti voleva tanto bene. Sarebbe veramente fiera di quello che hai fatto oggi, della persona grande che sei diventata. Adesso sto bene, sono in grado di poter tornare a casa.
Così dicendo si alzò e si avviò verso la porta.
-Grazie ancora… chiamami… Topino, perché questo è il tuo nome vero?…Chiamami se hai bisogno di me o anche solo per parlare con qualcuno. Sarò tua amica per sempre.
La maestra se ne andò e Topino rimase in silenzio. Non poteva credere a ciò che stava succedendo, ma si sentiva felice. Uscì di nuovo, stavolta perché aveva fame e andò a comprarsi una focaccia. Il panettiere appena lo vide gli fece delle gran feste. Aveva saputo dell'incidente con la maestra e del suo soccorso. Gli raccontò sorridendo che anche lui aveva fatto altrettanto con il falegname, che nel pomeriggio si era dato una martellata su un dito! Gli porse della focaccia al formaggio.
-Ma io non ho mai preso focaccia al formaggio- disse topino.
-No, ma la prendeva sempre la tua mamma, adesso me la ricordo bene, veniva a comprartela dopo averti accompagnato a scuola.
- Grazie signor panettiere.
Incredulo di aver detto grazie per la prima volta Topino s'incamminò.
-Allora è vero che la mia mamma si è sempre presa cura di me, io ho dimenticato per non soffrire… mi sono chiuso per la paura di ricevere, o peggio di dover dire grazie! Che stupido che sono stato!
Così dicendo corse a casa, preparò lo zaino e partì.
Ancora oggi si racconta di un piccolo topo di campagna che cammina e cammina nel bosco "Senza Idea", orgoglioso e felice, narrando una storia bellissima, senza perdersi mai.
Ripeteva Topino addentrandosi nel bosco "Senza Idea", con zaino in spalla e passo deciso. Era piccolo, un topo di campagna, con poche possibilità ma tanta voglia di riuscire. Aveva una missione da compiere, voleva raccontare una novella, non una qualsiasi, ma essere portavoce di una lieta novella. Perché ha deciso di fare questo viaggio ora io ve lo racconto.
Topino, viveva in un villaggio di topi senza nome, in un paese senza luogo, in un luogo senza tempo. Tutti sembravano non esistere, tranne lui. Parlavano, camminavano, compravano il pane, bevevano il caffé, giocavano in piazza, ma in realtà non comunicavano tra loro, come facessero parte di uno sfondo colorato, un fondale, dove la vita di Topino aveva il ruolo principale e anche tristemente unico.
Questa situazione durava da sempre, o da ieri, non si sa, perché tutti i giorni si ripetevano uguali, tutti i giorni erano senza memoria. Ma lui era Topino, sapeva di esistere e di vivere, mangiava, dormiva, sognava. Un giorno si svegliò con una voce che gli diceva…
-Topino, sveglia, sveglia, devi andare…devi portare la lieta novella.
Topino spaventato, perché nessuno aveva mai comunicato con lui, perché viveva in un posto che non c’era e con gente che non esisteva, rimase senza fiato.
-Cosa?…Come?…Chi sei?
La voce si fece silente per qualche giorno o per molti, non si sa, ma abbastanza da far pensare a Topino di essersi sbagliato e continuò a fare la vita di sempre, non parlare mai veramente, non incontrare mai nessuno veramente.
Eppure tutti esistevano, il panettiere, il falegname, il mastro, la maestra. Nessuno però scambiava un pensiero, un'idea, solo frasi di circostanza:
-Buongiorno signor panettiere, che bella giornata!
- Ma se lo dice lei! Io sono sveglio dalle tre del mattino!
- Buon giorno signora maestra!
- A lei signor Topino, ma ho tanti compiti da correggere, non mi faccia perdere tempo!
Il falegname lo liquidò con la stessa velocità, continuando a levigare lo stesso pezzo di legno!
-Ma quale novella dovrei raccontare?
Si continuava a domandare Topino.
-Non ho mai letto libri di favole e non me le hanno mai raccontate, neanche da piccolo, ammesso di esserlo stato! Che cosa ne so io, che non so ricordare neanche una barzelletta!
Domande, domande senza risposta.
-Forse mi sono perso una notizia sul giornale? Strano però, perché le notizie sono sempre le stesse, anche se il giornale lo compro ogni mattina!
Topino si stava perdendo d’animo. Una sera stanco e annoiato, già dimentico della voce, si mise a letto e lì la voce si fece risentire…e vedere! Apparve di fronte a se un’immagine poco nitida, talmente poco chiara che dovette mettersi gli occhiali! Si strofinò gli occhi, bevve un bicchiere d’acqua e la voce si fece risentire…
-Topino devi raccontare una novella, che annuncia una lieta novella.
Topino era scettico, sembrava solo un gioco di parole, ma voleva vederci più chiaro, scoprire cos’era quell’immagine che gli parlava in modo così enigmatico. Si alzò e si avvicinò all’immagine sfuocata, sperando di vederla svanire, ma più si avvicinava, più diventava reale. A un certo punto, fu così vicino che la toccò! Non poteva credere ai suoi occhi, l’aveva sempre vista sul suo comodino, immobile, era sempre stata lì, non sapeva neanche lui chi gliel’aveva messa e quando, ma aveva sempre sentito essere la sua foto… la foto di sua mamma!
Adesso era lì, di fronte a lui e poteva toccarla, sentire il suo odore. Non aveva mai “sentito” una mamma, il suo profumo, il suo calore, perché nel paese dove viveva, la realtà non esisteva veramente. Sapeva di buono, di casa, era tutto quello che, mancando, lo aveva fatto sentire molto solo fino a quel momento. Aveva sempre vissuto con l’immagine di lei in casa, ma nessuno l’aveva mai conosciuta realmente, nessuno le aveva mai parlato di lei. Una madre doveva averla avuta per forza, non era un orfano e qualcuno aveva lasciato traccia della sua storia sul comodino. Lui non si era mai posto tante domande.
Quanto è stato tutto così illusorio e finto fino a quel momento! Adesso che sua madre era lì di fronte e che gli parlava, parlava proprio a lui! Come era bella la sua voce, come gli si rivolgeva dolcemente. Le sue parole riempivano la stanza e il ghiaccio intorno al suo cuore si scioglieva piano piano, un monolite innalzato da tempo, in un luogo senza tempo. Gli raccontò tutta la sua storia, parlò tutta la notte, tutte le notti, non si sa. Le favole che gli narrò e che dimenticò, le carezze che gli diede e che lui rifiutò, la presenza attenta che disapprovò, tutto l'amore che aveva per lui e che allontanò. Sì, perché fu proprio lui ad allontanare sua madre dal suo cuore e così tutto il resto.
Aveva reso tutto finto, rifiutando l'amore. Lui aveva scelto di esistere da solo. La realtà finì per diventare, così, uno spazio immobile, dove tutti avevano ruolo di comparsa. Fu lì che la mamma gli assegnò la missione, portare la lieta novella, senza paura, con determinazione.
-Prendi lo zaino e parti. Sarebbe un vero peccato se non raccontassi a tutti questa storia, la tua storia, perché proprio questa è la novella lieta, che annuncia una lieta novella.
Così dicendo l'immagine svanì e non riapparse più.
Topino aspettò un giorno, un altro e un altro ancora, nella speranza di vedere tornare sua madre, che ahimé, non apparì più. Mentre si stava disperando, si accorse però di aver contato i giorni, calcolato il tempo. Non era mai accaduto prima! Corse fuori e comprò un giornale, tornò a casa e lo confrontò con quello vecchio. Aveva un'altra data! Allora il tempo stava diventando reale? Ricorse fuori, andava talmente forte che non vide la maestra attraversargli la strada. Ci fu un gran botto, tutti i fogli volarono per terra.
-Ahi che male!- disse topino rialzandosi a fatica e vide la maestra stesa a pancia in giù.
-Accidenti ho ammazzato la maestra!- urlò tentando di sollevarla.
Ma niente, non si muoveva. Allora, con un grande sforzo, la prese in braccio e se la portò a casa. Stravolto dalla fatica, la mise distesa sul letto, le preparò un latte caldo e le mise una pezza fredda sulla fronte. Dopo poco la maestra aprì gli occhi e sorrise a Topino.
-Grazie, grazie molte, se non fosse stato per te, sarei ancora distesa in mezzo alla strada, nessuno mi ha mai prestato tanta attenzione.
Guardò sul comodino.
-Quella è la tua mamma, vero? Mi ricordo adesso di lei, forse è stata la botta in testa…era una donna dolcissima e ti voleva tanto bene. Sarebbe veramente fiera di quello che hai fatto oggi, della persona grande che sei diventata. Adesso sto bene, sono in grado di poter tornare a casa.
Così dicendo si alzò e si avviò verso la porta.
-Grazie ancora… chiamami… Topino, perché questo è il tuo nome vero?…Chiamami se hai bisogno di me o anche solo per parlare con qualcuno. Sarò tua amica per sempre.
La maestra se ne andò e Topino rimase in silenzio. Non poteva credere a ciò che stava succedendo, ma si sentiva felice. Uscì di nuovo, stavolta perché aveva fame e andò a comprarsi una focaccia. Il panettiere appena lo vide gli fece delle gran feste. Aveva saputo dell'incidente con la maestra e del suo soccorso. Gli raccontò sorridendo che anche lui aveva fatto altrettanto con il falegname, che nel pomeriggio si era dato una martellata su un dito! Gli porse della focaccia al formaggio.
-Ma io non ho mai preso focaccia al formaggio- disse topino.
-No, ma la prendeva sempre la tua mamma, adesso me la ricordo bene, veniva a comprartela dopo averti accompagnato a scuola.
- Grazie signor panettiere.
Incredulo di aver detto grazie per la prima volta Topino s'incamminò.
-Allora è vero che la mia mamma si è sempre presa cura di me, io ho dimenticato per non soffrire… mi sono chiuso per la paura di ricevere, o peggio di dover dire grazie! Che stupido che sono stato!
Così dicendo corse a casa, preparò lo zaino e partì.
Ancora oggi si racconta di un piccolo topo di campagna che cammina e cammina nel bosco "Senza Idea", orgoglioso e felice, narrando una storia bellissima, senza perdersi mai.
... e una bella raccolta di favole?... :)
RispondiEliminaCiao, mi piace questa storia.
RispondiEliminaVorrei avere la capacità di Aldo per commentarla. I suoi post sono sempre attenti, analitici e utili per osservare i racconti con un occhio più professionale.
Diciamo allora con parole mie: la novella scorre leggera fino alla fine e come ogni favola che si rispetti il finale non tradisce e svela l'insegnamento che custodiva.
bello il logo cangiante ... :)
RispondiEliminaL'accordo registrato sul gioco di parole pronunciate dal protagonista dalla lunga coda, mette di buon umore per l'attesa fatta di speranza, pur iniziando il viaggio in un luogo senza idee ma con un'aria piena di ottimismo e voglia di fare: voglia di rallegrare, di trasmettere una lieta novella. Una lieta novella che ancora non si conosce e forse non si conoscerà mai ma l'intenzione diventa qualità di vita, una vita pur senza nome, luogo e tempo. Interessante questa non dimensione della vita stessa che, pur ritrovando in altre storie, meraviglia sempre come fosse la prima volta, la prima e unica idea. Più che vivere in una terra lontana e abbandonata, sembra la comunità di una seconda vita dove esite la comunità che non interagisce, dove tutto esiste ma non si sente a parte la voce che é fisicità della memoria, del ricordo: "Topino, sveglia, sveglia, devi andare…devi portare la lieta novella".
RispondiEliminaMa come nella vita degli uomini, gli entusiasmi, le buone intenzioni spesso scemano a fronte di una intolleranza al solo... dialogo (Topino si stava perdendo d’animo).
E qui scatta qualcosa di inaspettato, entra in gioco ciò che si vuole sentire e vedere come il gioco che la vita adotta quando si diverte a improvvisare. Uno specchio della vita seppur storia diversa ma pur sempre piena di sorprese. La foto sempre più nitida della madre diventa lo specchio ipnotico tarkovskijano e quindi terapeutico al suo stato. Egli non é diverso dagli altri, da quelli che vivono nel mondo immobile ma ne fa parte. La foto sempre più nitida della madre, é la verità incalzante, non é solo una immagine ma rappresenta valori e un insieme di fisicità alle quali Toopino non aveva mai pensato o addirittura respinto. In una situazione dal sapore metafisico la favola diventa esempio di filosofia del ravvedimento e incredibilmente poetica.
Fu così che Topino si ritrovò a vivere in un nuovo mondo, calibrato secondo le esigenze degli esseri viventi. Felice di aver capito quale fosse la lieta novella, la parabola da raccontare in quel bosco 'senza idea'; aver imparato a ringraziare ed essere ringraziato dal prossimo mentre noi ringraziamo chi ha scritto questa bella storia.
... come avrei detto io se sapevo scrivere e pensare come Aldo.
RispondiElimina=)
Grazie Anna. Mi hai provocato e non ho saputo... controllarmi :-)
RispondiEliminaaccidenti Aldo! hai colto e analizzato perfettamente la favola, meglio di un eccelso critico pluri pagato! io non ciò un euro ma spero ti basti sapere che conserverò questa tua critica gelosamente...grazie :)
RispondiElimina