sabato 26 febbraio 2011

RACCONTI DA SALOTTO

Di un Facebook. Di un click di Rossana Carturan

Ticchettava sulla tastiera quando lo sguardo si posò distrattamente sulle mani. Le fissò, non si era accorto che delle piccole macchie scure erano affiorate. Il segno dell’età, pensò.

Con un gesto istintivo le tirò indietro. Vecchio, disse tra sé, o ancor peggio anziano.

Sì, perché anziano ha qualcosa di definitivo, vecchio invece è qualcosa che puoi cambiare, rinnovare, almeno lo speri.

Spostò il pensiero e continuò a contemplare quella miriade di nomi e cognomi che continuavano a ballonzolare davanti ai suoi occhi e che premevano per avere la sua amicizia. Non aveva idea di chi fossero o cosa volessero, eppure si rapportavano come amici di sempre, confidenti nel buio di quel sistema dalla veste limpida, ma ancor più putrida, chiamato Facebook. Tutti ne parlano male, chi con sofismo, chi con ipocrisia, rifletté, ma nessuno si allontana.

E’ come una malattia esantematica, ti dici: spostati, se no mi contagi. E poi sei sempre lì.

Si alzò un momento, prese un bicchiere di vino, tornò a sedersi e pronunciò a bassa voce: Il vino. Cosa c’è di più fedele del vino? Non bara lui, quando è con te non può alterarsi, non può corrompersi e soprattutto non ti chiede mai l’amicizia. Lui la ha e basta.

Un’altra lucina rossa in basso al monitor segnalava: Veronica X ha fatto richiesta…

Un click ed io e questa bella ragazza siamo amici- continuò – un click e trent’anni di differenza si annullano. Un click e sono sostenitore di cause mondiali. Se tutto fosse in un solo click potrei porre fine a questo orrendo senso di abbandono che devasta la mia, già precaria, stabilità; e magari con un click potrei far sparire le macchie o anche qualche anno, perché poi in fondo a me servono anni in più e nessuno se ne accorgerebbe, proprio come qui. Un click che non frega niente a nessuno!

Ci sono click facili, click che costano poco e click che non partono. Proprio come questo. Continuo a clicckare ma il rifiuto non parte. Eh già, perché poi in fondo siamo un mondo positivo, dove basta considerarsi buoni per essere creduti- bevve un altro sorso continuando a fissare il monitor e scorrendo la lista degli amici - Tutti belli! Tutti con quel qualcosa in più che in giro non trovi. Io no, io mi metto lontano, voglio che quando aprano su di me per scoprire la foto, si avvicinino con il muso al monitor per capire che espressione ho. Voglio che mi stiano lontano.

Ritornò a guardarsi le mani, provò a strofinare illudendosi che quelle macchie fossero indice di uno sporco momentaneo. Invece no, erano lì, perfette, immobili, a imbrattare il proprio tempo.

Sorrise con gli occhi umidi e ciccando su un nuovo amico, sbuffò : un altro minuto e poi vado.

Il bilboquet di Re Sole. di Angelo Tozzi

“Ascolta, Louis, non è possibile. Quello che chiedi non si può fare! Sei un re ma a tutto c’è un limite.”

Charles, era l’unico che poteva dare del tu a Louis XIV. E, soprattutto, era l’unico che aveva il permesso di dirgli no. Nessuno sapeva perché.

“Ma io lo voglio!” urlò Louis, battendo a terra i tacchi.

“E fatti un bagno, almeno una volta nella vita! Puzzi come un caprone!”

“Sentite chi parla... voi puzzate come una putain d’antan, con tutto il profumo che vi spruzzate dalla mattina alla sera.”

“Lo fai anche tu. Quelle parrucche... lasciamo perdere.”

Ovviamente, queste discussioni avvenivano in privato. Ma il tu ed il no, Charles li usava davanti a tutti. E Louis usava il lei, sempre.

“Non cambiate discorso. Io voglio il bilboquet! Io-voglio il-bilboquet! Lo-voglio-e-basta-il-bilboquet!” cantilenò Louis, ritmando con il battito delle mani.

“Ti dico che non si può! Mon Dieu! Oltretutto, lo trovo anche infantile e non adatto a un Re.”

“Ora mi dà del Re? Non ha il permesso.”

Charles fece un inchino “Mi hai stufato. Vado a déjeuner.”

“Faccia come le pare ma io lo voglio! Lo esigo, lo pretendo, devo avere quel bilboqueeeeeeet! E’ mio!”

Senza più nessun controllo, Louis cominciò a ballare.

“Non lo avrai mai, non p-u-o-i a-v-e-r-l-o! N-o!”

“E io invece l’avrò.”

Ormai era una vera fissazione quel bilboquet. Gli erano stati presentati i modelli più fantasiosi e preziosi ma lui diceva no, licenziando tutti con un gesto svogliato della mano. Voleva quello e solo quello.

Occorre una piccola spiegazione su cos’è un bilboquet.

E’ una specie di piccola tazza a cui è legata, con una cordicella, una sfera di diametro adatto a entrare nel foro. I materiali utilizzati sono i più vari, perfino l’avorio. Il gioco consiste nel lanciare in aria la sfera, per poi cercare di farla entrare nel foro della tazza. Il tutto si esegue con una sola mano. Facile a dirsi. Ma difficilissimo a farsi.

Questo era ciò che voleva Louis XIV. Però non lo voleva di legno, né d’oro e diamanti. Lui voleva il bilboquet con la tazzina di bronzo e la sfera d’oro. Solo che la sfera era un uovo. Esattamente, quello della famosa gallina.

“Io l’avrooooooooo!”

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