venerdì 30 ottobre 2009
LA DONNA CANNONE di Daniela Rindi
Venghino signori venghino nel magico mondo del luna park! Divertimento, giochi curiosità vi aspettano!
Sollazzi frizzi sfizi di ogni genere per grandi e piccini!
Mostri talenti e scherzi della natura saranno a vostra disposizione! Venite tutti nel paese dei balocchi, venite a divertirvi con noi, maestri senza eguali nell’abile arte della finzione!
Questa sera un’attrazione speciale … solo per voi e giunta da un paese lontano, forse neanche di questo mondo, da un’altra galassia… l’eccezionale… impressionante… magnifica… immensa… mostruosa… Donna Cannone!
Mi chiamo Natasha, Nasti per gli amici.
Sono una donna grassa, grassissima, ma con un bel viso, almeno così dicono tutti aggiungendo poi: «Peccato però…» Sottintendendo il mio fisico, è chiaro.
Ma è come se mi dicessero: «Saresti normale se… non ti mancasse una gamba! »
Loro non capiscono.
Sì, perché essere molto grassi è come essere dei disabili, portatori di handicap, dei diversi.
La gente non ti guarda negli occhi, ma osserva curiosa e schifata il tuo enorme culo, le tue braccia dilatate, la circonferenza esagerata dei tuoi fianchi.
Mai ti guarda negli occhi, anche se ce l’hai molto belli.
Sono il riflesso dell’anima, diceva sempre mia madre.
Non guardandomi negli occhi.
Sì anch’io ho un’anima, però nascosta sotto una tonnellata di lardo. Ho iniziato ad ingrassare a vent’anni, per un’inspiegabile malattia del sangue.
Dopo circa ventitre anni hanno scoperto la causa: un’eccessiva produzione d’insulina.
Questa si ricrea continuamente perché non riconosce gli zuccheri. Almeno così ho capito, ma adesso non me ne frega più niente.
Dovevano scoprirlo allora.
La mia Via Crucis me la sono già fatta, non è stato facile accettare a vent’anni un cambiamento di peso e di corpo così repentino. Prendevo venti chili l’anno.
Nel giro di tre anni sono diventata un’obesa arrivando a pesare centoventi chili.
Da lì ho continuato solo ad aumentare.
Fu drammatico per me.
Non sono più uscita di casa per ben cinque anni.
Come facevo? Non potevo sedermi a nessun bar, perché non entravo nelle sedie, non potevo andare al cinema per lo stesso motivo.
Anche trovare dei vestiti adatti era difficile.
Dovevo servirmi in negozi specializzati per taglie extra large, che non avevano certo capi alla moda, ma solo vecchi camicioni demodé che mi facevano sembrare una vecchia.
Che imbarazzo.
I dottori mi dicevano di fare del moto, della corsa, ma come potevo, mi veniva subito l’affanno e poi mi vergognavo, mi guardavano tutti come se fossi un mostro.
Anche i miei amici, ex compagni di scuola avevano lo stesso sguardo, solo che loro cercavano di mascherarlo un po’.
E’ terribile avere la consapevolezza di essere stata una bella ragazza e improvvisamente risvegliarsi in un’orchessa senza forme, un fenomeno da baraccone.
Il mio ragazzo mi lasciò quasi subito.
Appena aumentata dei primi dieci chili mi disse:
«Non capisco cosa ti stia succedendo? Ma mangi di nascosto? Così mica mi piaci…»
E si fidanzò con la mia migliore amica.
Non so come sono riuscita a non impazzire.
Non credo che siano stati i diciotto anni di autoanalisi. Quelli mi hanno solo aiutato ad accettare il mio stato razionalmente, ma davanti allo specchio ancora mi metto a piangere.
C’ho messo una vita per infondermi un po’ di coraggio.
Mi sono pure sottoposta ad un intervento all’intestino, mi hanno inserito un bypass.
Non credevo ai medici che dicevano fosse un ingrassamento spontaneo, non alimentare. Potevo credergli invece.
Mi sarei risparmiata l’intervento.
Dopo molti rifiuti a causa del mio aspetto sgradevole, per fortuna ho trovato un lavoro.
Mi hanno assunto come cuoca in una mensa aziendale.
Chiusa lì dentro tutto il giorno non davo fastidio a nessuno. «Si vede che ti piace mangiare, eh?» mi dicevano e con questa battuta priva di spirito si giustificavano tutti la mia grassezza.
Quel lavoro mi distraeva un po’, mi faceva uscire di casa, ma non nutriva il mio spirito paradossalmente anoressico.
Quello continuava a dimagrire, a seccarsi come una foglia caduta. Avevo bisogno di un po’ di linfa, altrimenti mi sarei persa per sempre.
Mi licenziai.
Mia madre non me lo perdona ancora oggi:
«Sei una pazza! – diceva – Come fai a credere di trovare un altro lavoro come questo?»
Non aveva tutti i torti, ma io non volevo lavorare, volevo studiare quello sì che mi piaceva.
E così feci. Mi buttai sui libri voracemente.
Cominciai ad interessarmi di esoterismo, di yoga, medicina ayurvedica, shiatsu, bioenergetica, bionutrizione, Reiki, tutte quelle cazzate lì e iniziai a frequentare un corso dopo l’altro, prendendo specializzazioni, lauree di ogni tipo. Mia madre sempre dietro:
«Ma vuoi andare a lavorare? Io mica posso mantenerti a vita? Ci fosse almeno ancora tuo padre! »
Scoprii ben presto che aveva ragione.
Avevo capito che oltre al fisico esiste l’anima, ma non quella che mi avevano insegnato a catechismo.
Una sfera interiore che si poteva sviluppare, potenziare, tanto da rivelarmi un potere speciale nelle mani.
La capacità di trasmettere un calore che dà sollievo. Non sapevo se fosse anche salutare, ma ci provai lo stesso.
Fu un disastro.
Le clienti dubitavano di una donna tanto grassa, di una che non riusciva a guarire neanche se stessa e persi in breve ogni affidabilità, nonostante le lauree, gli attestati, le specializzazioni.
Loro continuavano a vedere una cosa sola.
Il mio grosso culo.
Un giorno andai al luna park e vidi Robert che stava annunciando l’inizio dello spettacolo, la presenza eccezionale dell’uomo scimmia. Comprai il biglietto ed entrai dietro il tendone.
Quando lui uscii dalla quinta ebbi come una scossa e tutti i pop corn mi caddero per terra. Non potevo credere all’esistenza di un altro mostro.
Peggiore di me.
Una mano mi picchiò sulla spalla, era Robert, mi disse subito che ero bellissima, che non aveva mai visto tanta sana opulenza, che avevo un bel viso, che avrebbe voluto lavorassi per lui.
La paga non sarebbe stata un granché, ma avrei potuto condividere la sua roulotte. Tutto questo mi disse in un attimo.
Guardandomi negli occhi.
Alla sera sono stanca, senza energia, ma almeno sono felice. Al termine della giornata, quando si spengono le luci, si smontano le giostre e si rientra nelle proprie roulotte per ripartire, mi fermo un attimo ad osservare il cielo, i pianeti e mi ritrovo in mezzo a tante stelle.
Io sono sempre in un cielo diverso.
Ma questo mi basta.
Venghino siori e siore venghino… nel magnifico paese dei balocchi!
(pubblicato in data 20 ottobre 2009)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
L'ho trovato anche molto commovente. Un bel racconto, una storia che mi è piaciuta molto.
RispondiEliminagrazie Aldo, è un piacere detto da te :) questi racconti sono tutti belli. mio marito ha detto che è un ottimo prodotto, che dovremmo promuoverlo a dovere! :)concordo...
RispondiElimina