lunedì 7 settembre 2009
UN RICORDO SOPITO di Pasquale Bruno di Marco
Spengo la luce, sto per alzarmi dal tavolo di lavoro e tornare a casa, quando un ricordo mi affiora alla mente improvviso, netto, senza nessun motivo apparente. Le immagini si stagliano nitide nella mia memoria, quasi si impongono.
Rimango seduto e rivivo la scena, come fosse un film, fotogramma per fotogramma. Del resto fare film è da sempre il mio lavoro.
E’ stato venti anni fa, esattamente venti anni fa.
Rivedo la segretaria di allora che mi annuncia questa persona che voleva propormi una idea. Già allora il mio ruolo era quello di valutare le proposte per le nuove produzioni e concessi qualche minuto.
Quello strano tipo, piuttosto anonimo e vagamente sovraeccitato, voleva parlarmi di quella che, secondo lui, sarebbe stata un’idea eccezionale per un film, un colossal tipo catastrofico-antascientifico.
Piuttosto scettico, gli chiesi di esporre brevemente il plot che ero atteso per una riunione e quello, con uno sguardo allucinato, cominciò con la descrizione della prima scena: alba su New York, panoramica sullo skyline della città in controluce sul cielo rosato e in sottofondo una musica serena e rassicurante.
«Magari la Rapsodia in blue di Gershwin, come la scena iniziale dell’ultimo film di Woody Allen»
ironizzai cercando di smontare quell’aria mistica che aveva assunto infastidendomi non poco.
Quello senza scomporsi, rapito dalla sua visione, continuò a descrivere come, improvvisamente, un jumbo sarebbe entrato nell’inquadratura con un rombo spaventoso andandosi a schiantare contro la torre nord del WTC.
Una enorme esplosione infuocata, pochi secondi e un altro jumbo avrebbe centrato l’altra torre. Altra enorme palla di fuoco.
Urla, fiamme, folla impazzita per strada, traffico nel caos.
Mentre i due edifici crollavano rovinosamente delle voci fuoricampo, tipo edizioni speciale del telegiornale, avrebbero annunciato di altri aerei contro il Pentagono e magari contro la Casa Bianca.
Gli chiesi se, nella sua visione, la Pan American avesse dichiarato guerra agli USA ma lui di nuovo non raccolse continuando a descrivere la sua visione apocalittica, insistendo in modo maniacale sui dettagli del crollo delle due torri.
Allora, brusco, gli feci notare che la sua idea era totalmente inverosimile.
«Ma caro amico, lo sanno tutti che, a causa degli incidenti verificatesi in passato, le torri sono state progettate per resistere agli impatti aerei, altrimenti nessuna assicurazione li coprirebbe e poi, mi scusi, ma chiunque, anche uno sprovveduto è a conoscenza del fatto che gli Usa hanno la flotta aerea migliore del mondo a proteggere il proprio territorio. Non consentirebbero una cosa del genere.»
Ma quello continuò a esporre quello che solo la sua mente, che a questo punto mi sentivo di definire malata, vedeva farneticando di terroristi arabi in versione suicida, neanche fossero dei kamikaze giapponesi, di un presidente Usa che da mezza figura diventa il capo indiscusso di una nuova crociata, di demolizioni controllata di edifici, di complotti e cospirazioni, di dichiarazioni di guerra ad un paese straniero accusato di possedere fantomatiche armi di distruzione di massa.
E di scene di bombardamenti notturni con l’oscurità segnata da riflettori e proiettili traccianti e di battaglie nel deserto con i pozzi di petrolio in fiamme sullo sfondo.
Bloccai il suo delirio e, calmo ma risoluto, gli dissi che lui era totalmente pazzo e che io non avrei più ascoltato quelle farneticanti follie, totalmente infondate e assolutamente non plausibili.
Mi aspettavo una reazione violenta.
Mi aspettavo urla e strepiti e, mano sul telefono interno, ero pronto a chiamare gli addetti alla sicurezza.
Quello invece tacque e mi sorrise.
Restò così tranquillo qualche minuto poi mormorò:
«Tra venti anni»
Quindi si alzò pacato, aprì la porta, chiuse e andò via.
Mai più rivisto.
Un ricordo completamente sopito che mi sale alla memoria in maniera così prepotente e lucida.
Proprio ora.
Chissà perché.
Sarà che sono passati esattamente venti anni.
Sarà che adesso il mio ufficio è al piano 87° della torre nord del WTC, ma sento una sensazione di angoscia serpeggiarmi dentro e mi manca l’aria.
Tremo.
E’ la stanchezza, decido.
Meglio che vada a riposare prima che sia io ad impazzire sul serio.
Domani è già 11, ho tanto lavoro da fare.
(pubblicato in data 7 settembre 2009)
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